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QT n. 12, 16 giugno 2001 Servizi

Quindici anni di immigrazione

Come si è evoluto il fenomeno migratorio in Trentino? A colloquio con Massimo Giordani, mentre lascia dopo otto anni la direzione dell’Atas.

"Il test consiste in questo: sottoponiamo a un gruppo di persone (studenti, comuni cittadini non selezionati politicamente) i dati riguardanti le richieste di alloggi Itea avanzate da cittadini italiani e da stranieri, con le variazioni da un anno all’altro. Poi gli diciamo: fingete di essere amministratori pubblici che debbano stabilire i criteri per le assegnazioni, e tenete presente che su questo gli elettori vi giudicheranno. Ebbene, mentre nella realtà agli stranieri viene assegnata una percentuale degli alloggi che varia fra il 2% e il 5%, le persone sottoposte al test arrivano solitamente a quote del 10%, e il bello è che ritengono di essere state molto severe nei confronti degli immigrati! Il che dimostra quanta disinformazione ci sia, sul problema degli alloggi come pure sulle altre tematiche attinenti l’immigrazione".

Massimo Giordani, che ci racconta l’episodio, si è dimesso qualche giorno fa ("per tirare un po’ il fiato") dopo 8 anni alla direzione dell’Atas, la più importante associazione - di matrice cattolica - che si occupa di immigrazione: un’occasione per ripercorrere brevemente, oltre tutto con qualche libertà di giudizio in più da parte sua, le vicende nazionali e provinciali di un fenomeno che stiamo vivendo da non più di 15 anni, ma che già tanto ha inciso sulla nostra quotidianità.

La presenza di stranieri in Italia si comincia ad avvertire verso il 1986, anno della prima sanatoria: si tratta soprattutto delle prime colf, di studenti che una volta terminati gli studi si trattengono nel nostro paese, di alcuni operai stagionali nel Meridione. In Trentino, per via della sua posizione decentrata, il fenomeno non è quasi percettibile: qualche venditore di tappeti, qualche laureato… Verso l’89 le cose sono cambiate: agricoltura, turismo ed edilizia cominciano ad utilizzare gli immigrati, che in quell’anno sono ormai un migliaio di persone; ed è subito emergenza, con la Bonomelli che è la sola struttura disponibile, per quanto può, a rispondere ad una crescente richiesta di alloggio.

La legge Martelli è dell’anno successivo; e l’obbligo per la Provincia di Trento di recepire quella legge porta in tempi rapidi all’emanazione della legge provinciale n. 13 sull’immigrazione: "Un esempio - sottolinea Giordani - di come in tempi ahimé lontani l’autonomia sapesse fare del Trentino un laboratorio di esperienze all’avanguardia".

Fra le altre cose, la nuova normativa provinciale crea un organo consultivo, la Consulta dell’immigrazione (con gli stranieri rappresentati tramite le associazioni), istituisce i centri di accoglienza per dare almeno un posto-letto agli immigrati con un lavoro, e più in generale definisce i loro diritti, spesso peraltro teorici: per molti il diritto a un alloggio è in realtà diritto ad entrare in una lista di attesa.

Tamponata, se non risolta, l’emergenza, si lasciano però trascorrere gli anni senza nuovi interventi, senza seguire la continua evoluzione del fenomeno.

"Verso il ’93 - ricorda Giordani - cominciano gli anni più difficili: il crescente numero di ricongiungimenti familiari mette in crisi il sistema dell’accoglienza, poi il proliferare delle associazioni, a volte ben poco rappresentative, paralizza la Consulta. E intanto ci sono massicci arrivi di nuovi immigrati come conseguenza dei conflitti balcanici; un arrivo favorito dalla vicinanza delle frontiere e dalla storia di emigrazione trentina in Bosnia. E poi, nel ’95, la chiusura di Shangrillà e una diminuzione delle risorse provinciali per la stessa Atas. Sul piano politico, poi, sono anni di immobilismo, caratterizzati da una serie di disegni di legge presentati dalla destra esclusivamente allo scopo di abolire la normativa vigente. Infine, a livello nazionale, c’è un alternarsi di aperture e di chiusure: dal bel progetto di Fernanda Contri all’azione del governo Berlusconi, fino al contraddittorio decreto Dini".

Si può dire che esista un modello italiano di governo dell’immigrazione?

"Avevamo di fronte, sostanzialmente, due modelli: quello francese di scarsa attenzione alle culture diverse e quindi di assimilazione; e quello tedesco del Gastarbeiter, per cui l’immigrato esiste solo in quanto lavoratore e per il resto vive in una condizione di separatezza. Finalmente, con la legge Turco-Napolitano del ’98 abbiamo scelto - almeno politicamente - una terza via, quella dell’integrazione, del rispetto, della contaminazione fra culture. Un modello visibile soprattutto nella scuola (in Trentino in modo particolare), mentre restano grosse carenze per quanto riguarda il problema abitativo, anche se decisamente si cerca di evitare la soluzione dei quartieri-ghetto".

Dopo l’emanazione della nuova legge nazionale, finalmente anche in Trentino si ricomincia a discutere di immigrazione, se non altro per l’obbligo di recepire la legge nazionale, e quindi di riformare la legge provinciale, vecchia di otto anni. L’operazione dovrebbe concludersi entro sei mesi, ma ci sono di mezzo le elezioni provinciali. Con la nuova giunta, in compenso, si parte con il piede giusto: "L’assessore Magnani riunì le associazioni, ascoltò il parere di tutti e poi istituì un gruppo di lavoro (tecnici della Provincia, immigrati, associazioni…) incaricato di delineare i contorni della nuova normativa. I risultati di questo lavoro, conclusosi agli inizi del 2000, sono stati in larga parte accolti in un disegno di legge che, approvato un mese fa in commissione, aspetta ora di essere discusso in Consiglio".

Le novità?

"Due cose positive: anzitutto la distinzione fra bisogni strutturali degli immigrati e debolezze soggettive. Mi spiego: lo straniero può essere in difficoltà perché non sa la lingua e non conosce la cultura del paese che lo ospita, e questo riguarda appunto il suo essere straniero. Ma se una famiglia di immigrati monoreddito con quattro figli fatica ad arrivare alla fine del mese, questo è un altro discorso. Qui la normativa deve essere la stessa che per una famiglia italiana nelle medesime condizioni.

Voglio poi ricordare che, al posto della Consulta, dovrebbe essere istituito il cosiddetto Consiglio degli stranieri, un organismo che verrà eletto dagli stranieri residenti regolarmente su una lista unica (non su etnie). Non più rappresentanti scelti dalle associazioni, ma singoli eletti democraticamente, con gettoni di presenza e permessi retribuiti. Dunque, un passo verso il riconoscimento del voto amministrativo. Questi consiglieri, che sceglieranno al loro interno un presidente, dovranno essere informati su tutte le iniziative in tema di immigrazione - e non solo - avviate dalla Provincia e dai comuni trentini. Un organismo che, per certi versi, ricorda i Consigli circoscrizionali".

Tutto bene, dunque? No: rimangono aperte alcune questioni molto concrete, come il problema dei detenuti stranieri e quello, arrivato in questi giorni all’attenzione dei quotidiani locali, dell’assunzione di colf immigrate: "Il reperimento e l’accoglienza dei lavoratori addetti alla raccolta delle mele è stato per anni fonte di tensioni e preoccupazioni; fino a quando ci si è organizzati, con flussi programmati e contadini che devono provvedere ad alloggiare i propri dipendenti. Anche per colf e addetti all’assistenza domestica bisognerà inventare soluzioni specifiche, tenendo presente che per il datore di lavoro questo tipo di necessità insorge spesso in maniera improvvisa: dopo una malattia, o dopo aver inutilmente tentato altre soluzioni. A quel punto, spesso, le quote sono già state esaurite e non è più possibile seguire la procedura regolare. E nel mercato del lavoro irregolare, si riesce sempre a trovare qualcuno".

Un’altra lacuna riguarda la formazione dei mediatori culturali, la cui presenza, finora, è avvertibile solo nella scuola, mentre tanti altri sono i luoghi in cui questa figura sarebbe parimenti necessaria: dal carcere all’ufficio pubblico, all’ospedale: "Per una donna algerina - esemplifica Giordani - la visita ginecologica non viene vissuta come da una donna italiana. E differenze ci sono nella concezione di colpa e di pena, o nel tema dei rapporti tra religione e Stato. Quando ci si imbatte in tematiche di questo genere, sarebbe importante la presenza di qualcuno in grado di favorire la comunicazione nei due sensi. E nella stessa scuola, il mediatore solitamente si limita ad aiutare il bambino straniero nelle sue difficoltà linguistiche e ad illustrare la sua cultura ai compagni italiani. Ma bisognerebbe fare di più: andare oltre il folklore e la cultura materiale e fare un lavoro di decodifica delle rispettive culture. Ma questo sarà possibile solo quando i mediatori verranno formati in maniera più rigorosa".