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QT n. 1, 13 gennaio 2001 Cover story

Cittadini di serie B?

“Anche noi, come le altre minoranze religiose, vogliamo un’intesa con lo Stato italiano”. Questo chiede il presidente della Comunità Islamica del Trentino Alto Adige. Si tratta di una manifestazione di integralismo islamico come qualcuno sostiene?

Quando, il 27 dicembre scorso, fra una preghiera e un discorso in lingua araba, il presidente della Comunità Islamica ha fatto un breve discorso in italiano esponendo un succinto cahier de doléances dei musulmani nei confronti dello Stato italiano, ammetto che un po’ mi sono meravigliato. Il dott. Aboulkheir Breigeche avevo avuto modo di sentirlo in diverse altre occasioni: sempre pacate, a volte le sue parole mi erano sembrate dipingere una realtà dell’immigrazione fin troppo ottimistica. Era evidente il suo intento di evitare conflitti, di non rompere i ponti neppure con gli spezzoni di società e le forze politiche più intolleranti.

A sinistra, Aboulkheir Breigeche, presidente della Comunità Islamica del Trentino Alto Adige. Al suo fianco, il muftì di Banja Luka (Bosnia).

Stavolta invece il suo era un discorso esplicito; ma non certo "durissimo" come si è letto sui giornali del giorno dopo. Altrimenti, il normale comizio di un sindacalista nel corso di una vertenza dovremmo definirlo "terroristico".

Comunque, un po’ mi sono meravigliato; ma non abbastanza da non lasciarmi distrarre dalle corse e dai giochi di uno sciame di bambini vestiti a festa che correvano e giocavano nel poco spazio libero della palestra di via Fogazzaro. Alcuni dall’aspetto indubbiamente "esotico", anche perché indossavano i costumi tradizionali del loro paese d’origine, ma molti assolutamente indistinguibili dai loro coetanei italiani, diversi anche con i capelli biondi. Così come i loro genitori, del resto. E ancora una volta mi veniva da pensare che per troppi di noi "immigrato" vuol dire automaticamente ed esclusivamente vecchie scarpe da ginnastica, barba incolta, abiti dimessi, emarginazione.

Non mi sono poi stupito troppo alle parole dell’imam anche perché, da quando - e ormai sono anni - per molti stranieri la fase dell’emergenza può dirsi conclusa, da varie parti (associazioni, esponenti di partito…) si è cominciato a mettere in luce la necessità di concedere a queste persone certi diritti e opportunità insiti nel diritto di cittadinanza, allo scopo di favorire un loro stabile inserimento, evitando ghettizzazioni e il conseguente arroccamento su posizioni pericolosamente radicali. In diverse città, ad esempio, gli stranieri, pur non godendo ovviamente del diritto di voto, dispongono però di loro rappresentanti con potere consultivo all’interno del Consiglio comunale. Il problema è forse che certe cose possono proporle solo gli italiani?

Insomma, cosa ha detto esattamente il dott. Aboulkheir Breigeche?

Imusulmani in Italia, ha esordito, si sentono cittadini di serie B, accettati, anzi richiesti come forza-lavoro, ("Servono altri mille immigrati" - titolava l’Alto Adige del 22 dicembre) e di conseguenza tenuti a pagare le tasse, ma sostanzialmente rifiutati come detentori di diritti.

E ha fatto due esempi: 1. la mancata concessione, da parte di molti datori di lavoro, del permesso di partecipare alla festa della fine del Ramadan, la più importante del calendario islamico, che si celebrava in quel giorno; 2. il fatto che, fra tutte le minoranze religiose significativamente presenti in Italia, la musulmana, quella più numerosa, sia la sola ancora priva di un intesa con lo Stato italiano, con tutto quello che ciò comporta: dall’8 per mille alla possibilità di garantire assistenza religiosa ai detenuti. In un’intervista all’Alto Adige, il presidente della Comunità Islamica spiega ulteriormente: "Un conto sono gli atti di buona volontà della pubblica amministrazione, un conto sono i diritti, la legge. Solo questa può darci la certezza dei nostri diritti". Richieste, come si vede, discutibili come tutte e senz’altro attinenti una materia molto delicata; ma nulla di estremistico o di palesemente assurdo.

E invece, nei giorni successivi, succede l’iradiddio. Tralasciamo pure i prevedibili strepiti di chi, come Boso, replica a vanvera evocando "il sangue padano che scorre sulle strade a causa degli incidenti causati dagli irregolari", e veniamo alle repliche provenienti dagli ambienti del centro-sinistra o da chi, comunque, è solito affrontare razionalmente questi problemi.

Il rilievo più prevedibile, espresso da molti, è quello stesso che ormai da mesi viene avanzato in mille occasioni per strangolare qualunque discussione: le elezioni sono alle porte, attenzione a non fare il gioco della destra. In questo caso, poi, si tratta del tasto dolentissimo dell’immigrazione (o dell’Islam, che non è proprio la stessa cosa, ma che facilmente vi si sovrappone; e forse questa circostanza ha contribuito a confondere ancor più il dibattito). Sul tema dei clandestini e della sicurezza il centro-destra è come mai all’attacco, e che un rappresentante musulmano avanzi delle richieste di diritti appare a molti un clamoroso errore tattico. Di conseguenza, anziché entrare nel merito, si risponde che quell’intervento avviene nel momento sbagliato, che è fuori luogo, che i toni sono fuori misura. Il presidente della Giunta Dellai va oltre: parla di parole "assurde" inventandosi un attacco alla Provincia e al Trentino che Breigheche non si è mai sognato ("Sono frasi ingenerose per un Trentino che si è sempre caratterizzato per la sua accoglienza…"- dice il presidente della Giunta). E ammonisce: "Siamo amici dei lavoratori terzomondiali che rispettano le leggi e le usanze del nostro territorio e nemici degli estremisti e dei fondamentalisti, a qualsiasi professione religiosa essi appartengano". Il tutto sotto un titolo che suona: "Dellai all’imam: non fare l’integralista". Breigeche un integralista: una barzelletta che non fa ridere.

Anche Franco de Battaglia non scherza, attribuendo al presidente della Comunità Islamica l’intenzione di aizzare gli immigrati, di "far maturare fra loro un senso di scontentezza, di rivalsa, da gestire in seguito". Quando invece un minimo di conoscenza della situazione dovrebbe far capire che è successo esattamente il contrario: il moderato Breigeche, che in ogni circostanza si è adoperato per placare gli umori più accesi, stavolta ha ritenuto (sbagliando?) di dover rappresentare senza eufemismi i malumori dei musulmani (o degli immigrati che sia).

Riserviamo un’ultima citazione a Vincenzo Passerini, fra i pochi che non si sono scandalizzati, il quale conferma la situazione di disagio degli extracomunitari rispetto agli italiani con un esempio preciso, uno fra i molti possibili: "Per sette anni tantissime persone hanno fatto molte ore di fila all’aperto per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Io mi chiedo: quale ufficio dell’anagrafe trentino avrebbe tollerato una situazione simile?"

Un altro che non strepita è Massimo Giordani: consigliere comunale DS, cattolico, direttore dell’ATAS (Associazione trentina accoglienza stranieri), Giordani avanza dei rilievi all’intervento di Breigeche, pur riconoscendo che "gli immigrati sono per definizione cittadini di serie B, anzitutto perché non votano, dunque non possono configurarsi come un gruppo di pressione e devono accontentarsi di quanto i cittadini di serie A gli concedono". Giordani entra quindi nel merito dei due esempi fatti dall’imam, sostenendo che, al momento, bisogna lavorare sul terreno degli accordi funzionali, cioè singole intese riguardanti specifiche questioni: in sostanza quelli che Breigeche chiama "atti di buona volontà della pubblica amministrazione", com’è il caso del cimitero islamico. E aggiunge: "Molti dicono che neppure questo si deve fare, che sono i musulmani a doversi comunque adattare. Ma quando senza sostanziali costi possiamo facilitare l’altro nell’esprimere le proprie convinzioni religiose, è bene farlo: è un modo di migliorare la convivenza. E’ questo, ad esempio, il caso dei permessi per partecipare a feste religiose, o la concessione di poter accumulare i giorni di ferie in vista di un viaggio in patria. Accordi del genere possono risultare addirittura convenienti per le aziende, tant’è vero che si vanno sempre più diffondendo nelle industrie del nord. In Trentino, bisogna dire, c’è qualche difficoltà in più a fare lo stesso, dovuta in primo luogo alle piccole dimensioni delle imprese. E poi non va dimenticato il problema culturale, una certa preoccupazione dell’opinione pubblica…"

Ma l’atteggiamento nei confronti degli immigrati sembrerebbe più tranquillo in Trentino che non in Veneto o in Lombardia…

"In quelle regioni c’è senz’altro una maggiore reazione - e strumentalizzazione - di tipo politico; da noi però c’è più attaccamento alle tradizioni, particolarmente a quelle religiose".

Il presidente della Comunità Islamica, comunque, al di là di singole concessioni, chiede una certezza di diritti che solo un’intesa con lo Stato, un concordato, può garantire.

Massimo Giordani, consigliere al Comune di Trento (Ds) e direttore dell'ATAS.

"Qui non sono d’accordo. E’ quello, evidentemente il punto di arrivo cui dobbiamo tendere, ma al momento non credo sia ancora possibile. Vediamo la questione dell’8 per mille: chi sarebbe il referente dello Stato, a cui versare quel contributo e che dovrebbe spenderlo? Non certo uno Stato estero. Una associazione? Forse l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia? Ma fino a che punto sarebbe rappresentativa? Senza uscire dai confini della provincia, mi risulta che da qualche tempo si stia organizzando da noi un’associazione di pakistani che sul versante religioso sono autonomi rispetto all’associazione di Breigeche. Quanti altri spezzoni del mondo islamico resterebbero fuori da questa rappresentanza?

Sul piano più sostanziale, pensiamo alla delega delle funzioni di Stato civile che un concordato comporta: come si fa con un diritto di famiglia, come quello islamico, così diverso dal nostro?

Se una critica si può fare al discorso dell’imam, credo sia quella di avere mescolato problemi diversi: una singola questione risolvibile come quella dei permessi e il grosso tema di un accordo fra Stato italiano e Islam, per il quale credo si debba ancora discutere a lungo".

Riportiamo queste perplessità ad Aboulkheir Breigeche. Originario della Siria, venuto in Italia a studiare nel lontano 1966, in Trentino dal ’78, medico, è da tempo cittadino italiano, presidente della Comunità islamica del Trentino Alto Adige e vice-presidente nazionale dell’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia.

Sorride quando gli chiedo come mai stavolta non sia stato pacato come di consueto ("Mah, avrò sbagliato; ma non credo…"); ribadisce che le sue lamentele non erano rivolte alle autorità locali e che si è sentito in dovere di esprimerle in seguito alle numerose proteste ricevute dai suoi correligionari non solo in Trentino, ma a livello nazionale: "La fine del Ramadan è la nostra festa principale, è una festa comunitaria, un’occasione in cui ogni famiglia si ritrova, unita, insieme ad altre famiglie. L’impossibilità per molti di intervenire ha naturalmente provocato dello scontento e io mi sono sentito in dovere di intervenire".

Veniamo alla questione della fin qui mancata intesa fra l’Islam e lo Stato italiano...

"Io vedo - dice Breigeche - che ormai tutte le minoranze religiose italiane sono riuscite a stipulare un’intesa con lo Stato. Perché solo noi, la minoranza più corposa, no? Si tenga conto, oltre tutto, che - a parte un milione di immigrati - sono ormai 50.000 i cittadini italiani di religione islamica".

Ma con quale interlocutore lo Stato italiano dovrebbe siglare questa intesa?

Qui sopra e sotto a destra, alcuni momenti della festa della fine del Ramadan celebrata nella palestra di via Fogazzaro a Trento il 27 dicembre scorso.

"Esiste un Consiglio Islamico d’Italia (formato dall’Unione delle comunità islamiche d’Italia, dal Centro Islamico di Roma e dalla Lega Islamica mondiale) che rappresenta la quasi totalità dei musulmani italiani. I pakistani in Trentino si sono organizzati in forma autonoma? Certo, ma esclusivamente per ragioni linguistiche: loro non capiscono l’arabo delle nostre preghiere e noi non capiamo il loro urdu; ma non esistono differenze sostanziali, di tipo teologico. Del resto, è stata recentemente conclusa un’intesa con una rappresentanza buddista molto meno rappresentativa della nostra. Il fatto è che i contatti vanno avanti da anni (la prima bozza in discussione risale al ’90), io stesso vi ho partecipato, ma non si riesce a concludere".

Forse ci sono delle difficoltà sostanziali. Giordani citava le forti diversità fra il diritto di famiglia italiano e la concezione islamica…

"Sappiamo bene che l’Italia non è uno Stato islamico e che esistono delle differenze. Non chiediamo certo la poligamia; ma che i matrimoni celebrati con i nostri riti siano ritenuti validi dallo Stato, quello sì. Noi siamo disponibili ad accettare pragmaticamente dei compromessi, i limiti imposti dalla Costituzione e dalle leggi, e lo abbiamo già dimostrato nella vicenda del cimitero: per noi, com’è noto, le sepolture dovrebbero essere perpetue, mentre la legge italiana non lo consente, e noi abbiamo accettato.

Insomma, alcuni di noi sono italiani, molti altri ancora non lo sono ma già si sentono tali. I nostri figli sono nati qui, stanno crescendo, spesso conoscono solo da turisti il loro paese d’origine, mentre hanno girato l’Italia più di tanti italiani. Perché persistere nel negare loro certi diritti?"

Non abbiamo gli elementi per stabilire chi abbia ragione: se chi sostiene che le difficoltà da superare per giungere a un accordo siano ancora tante e tali da rendere obiettivamente impossibile, al momento, la firma di un’intesa; o se invece un eccesso di prudenza e un disegno politico da parte italiana vanifichino la buona volontà e la disponibilità al compromesso della parte islamica.

I termini della questione, però, sono questi. Ed è su di essi che bisognerebbe informarsi e discutere; forse si può cominciare a farlo anche a quattro mesi di distanza dalle elezioni.