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QT n. 5, 8 marzo 2003 Servizi

Saddam e i suoi sudditi

La forza e le debolezze del dittatore, le oscure prospettive del dopoguerra e le ipocrisie dell’Occidente. Intervista ad Adel Jabbar, sociologo di origine irakena.

Il sentimento prevalente nella popolazione è l’impotenza, la frustrazione, la constatazione che entrambi i contendenti - Saddam e Bush - non hanno per loro nessuna considerazione".

Così comincia la testimonianza di Adel Jabbar, nato a Baghdad, laureato in sociologia a Trento, docente alla Università Ca’ Foscari di Venezia.

"Del resto - prosegue - la condizione materiale della gente non era molto diversa quando l’Iraq era un beniamino dell’Occidente".

L’embargo avrà pur peggiorato la situazione...

"Certo, ma già prima si stava male. In Iraq si è vissuto decorosamente solo fino all’inizio degli anni ’80, fino ai primi anni del conflitto con l’Iran. Su quella guerra c’era il consenso non solo dell’Occidente, che voleva impedire un allargamento della rivoluzione islamica, ma anche dei Paesi arabi vicini; e questo contribuiva ad attenuare le ripercussioni economiche della guerra. Poi le centinaia di migliaia di persone mandate al fronte e un bilancio statale dedicato soprattutto alle spese militari hanno comunque inciso sulle condizioni di vita della popolazione".

Tornando ad oggi...

"Tornando ad oggi, non c’è fiducia nei confronti delll’operato del governo, ma neppure nei confronti di un Occidente, impersonato dagli Stati Uniti, che non offre prospettive future e modelli credibili. Va bene liberarsi del regime, ma ritrovarsi come occupanti gli inglesi e gli americani non è un’alternativa molto gradita. Non dimentichiamo che l’Inghilterra è la potenza che a suo tempo colonizzò l’Iraq, e non ha lasciato dei ricordi piacevoli".

Le manifestazioni di sostegno al regime a cui abbiamo assistito - votazioni plebiscitarie, dimostrazioni di piazza... - dipendono esclusivamente dall’impossibilità di dissentire, dal timore della repressione, o almeno in parte anche da una qualche forma di carisma di Saddam Hussein?

"Cominciamo col dire che non c’è assolutamente una adesione convinta al regime. Il Partito Baath, quello di Saddam, non ha mai avuto, in Iraq, un grande seguito popolare. E’ arrivato al potere due volte: nel 1963 e nel ’68, in entrambi i casi con un colpo di stato organizzato dal partito in alleanza con alcuni militari (tra l’altro, militari che avevano delle simpatie filo-occidentali). Saddam Hussein cominciò appunto nel 1968 come vicepresidente (presidente era suo suocero), poi nel ’79 s’impadronì della presidenza.

La mancanza di un largo seguito tra i cittadini ha sempre reso questo partito, e il regime che da esso è nato, molto sospettoso e violento. E quindi, da un lato repressione feroce del dissenso, dall’altro vantaggi offerti a chi aderisse al partito e al regime. Ricordo bene come, fin dai primi anni ’70, nell’ambiente studentesco, accanto ad un attento controllo poliziesco, si offrivano, a chi era "in linea" col governo, notevoli benefici, come borse di studio, possibilità di studiare all’estero, accessi facilitati negli impieghi della pubblica amministrazione. Questo metodo fu poi applicato in tutti i settori del vivere civile, dove, per fare carriera nel lavoro come per ottenere una casa, l’iscrizione al Baath era (ed è) un elemento importante: insomma, il sistema del bastone e della carota. Ma i risultati non furono soddisfacenti per il regime: alle elezioni a livello di categorie professionali (sindacati, studenti, ecc.), gli oppositori stravincevano. Allora si cambiò politica: con una feroce repressione vennero sciolte tutte le organizzazioni sindacali e studentesche che non facevano riferimento al governo. Questa azione fu facilitata dal fatto che all’epoca l’Iraq era alleato dell’Unione Sovietica, e nell’opera di repressione il partito comunista filosovietico fu complice del Baath nel demolire quanto restava di dialettica democratica, espressa da liberali, marxisti o movimenti religiosi. Anche alcuni partiti curdi, del resto, all’epoca si allearono col Baath. Curdi e comunisti, che avevano più agganci con la società, vennero utilizzati come strumenti di controllo e di repressione.

Saddam Hussein è sempre stato molto abile nel saper utilizzare a fini di potere interno le mutevoli situazioni internazionali. Grazie alla guerra con l’Iran, l’Iraq ottenne l’appoggio politico, economico e in parte militare (comprese le armi chimiche) di alcuni Paesi europei e degli Stati Uniti, che temevano un allargamento della rivoluzione islamica di Khomeini agli Stati del Golfo. Ma Saddam godeva anche del favore dell’Urss, impegnata allora nella guerra in Afghanistan e anch’essa timorosa di ciò che l’Iran poteva rappresentare per il mondo islamico.

In definitiva, i maggiori responsabili delle fortune politiche di Saddam vanno ricercati fuori dai confini irakeni, non certo fra la popolazione.

La gente partecipa alle manifestazioni perché costretta: ricordo bene quando venivano con gli autobus davanti alla scuola per trasportare gli studenti alle dimostrazioni di piazza; e guai a chi non saliva".

In che modi viene attuata questa politica repressiva?

"Un esempio: in ogni famiglia è bene che ci sia almeno un iscritto al partito, altrimenti si rischia di restare esclusi dai servizi e dal lavoro. E ancora: una regola del Baath prevede che se in una famiglia c’è qualcuno anche solo sospettato di essere un oppositore del regime, il suo familiare iscritto al partito rischia fino alla condanna a morte, per non aver esercitato i doverosi controlli.

Va aggiunto che Saddam Hussein ha utilizzato contro i quadri del partito gli i stessi strumenti repressivi usati contro gli oppositori".

Insomma, Saddam era cattivo anche quando era alleato dell’Occidente...

"Certo, lo si sapeva. Ma allora era molto difficile, per un oppositore irakeno esule in Europa, denunciare pubblicamente queste situazioni, perché Saddam era considerato un baluardo laico dell’Occidente. Alcuni di questi oppositori hanno potuto essere riconosciuti come rifugiati politici solo nel ’90, quando Saddam è diventato ufficialmente cattivo invadendo il Kuwait. Prima di allora si vedevano in tutta Europa militari irakeni in visita a cantieri navali o fabbriche che preparavano materiale bellico per l’Iraq.

Dobbiamo ricordarcele, queste cose; non vorrei, raccontando la durezza del regime irakeno, rafforzare l’idea che fare la guerra a un tale personaggio sia, tutto sommato, legittimo e vantaggioso anche per il popolo irakeno".

Posto che la guerra ci sia, esiste - all’interno del paese o all’estero - una possibile, credibile futura classe dirigente?

"L’opposizione esistente all’estero, la cosiddetta opposizione di Londra, non ha nessun peso, nessuna credibilità tra la popolazione irakena, mentre viene seguita con attenzione dai governi occidentali. Al contrario, gli oppositori storici, quelli che non hanno mai accettato dei compromesi col regime, nessuno li prende in considerazione. Qualcuno ha detto significativamente che all’opposizione estera manca solo Saddam Hussein; perché buona parte di loro sono ex collaboratori del regime epurati, complici di tanti massacri e desiderosi soprattutto di tornare al potere. Un’altra componente è fatta da membri di alcuni partiti curdi, anch’essi, in certi momenti, alleati di Saddam. Poi c’è una terza anima, islamica, filo-iraniana.

Come si vede, dalla ‘opposizione di Londra’ restano fuori le rappresentanze di molte altre anime: democratici, marxisti, islamisti, nazionalisti. E’ questa, - l’opposizione interna - che malgrado il disastro provocato nella società civile da anni di guerra, di dittatura e di embargo, potrebbe riscuotere la fiducia della popolazione e mobilitare le energie del paese. Ci sarà dunque una gara, se non un conflitto, fra questi e quelli che arriveranno d’oltre confine portati dai carri armati americani. Non si può dire cosa accadrà: gli stessi americani non hanno manifestato nessun progetto, se non quello di occupare militarmente l’Iraq per un paio d’anni.

Tornando al discorso del consenso, va ricordato che Saddam Hussein, oggi, ha perso gran parte del controllo sull’Iraq e mantiene il proprio potere effettivo solo sulla regione di Baghdad. Altrove ha pensato di ripristinare le leggi tribali, lasciando ai leader locali la gestione effettiva, delegando loro numerose competenze in cambio di finanziamenti e aiuti militari".

Un federalismo all’irakena...

"Oggi la forza del regime consiste nel controllo sull’apparato amministrativo, sui servizi segreti, sull’apparato militare (soprattutto i corpi speciali, per lo più composti da membri del clan familiare di Saddam), e infine in questo rapporto con le tribù alle quali è stato delegato il controllo su larga parte del territorio statale. Questo rapporto potrebbe costituire oltre tutto un elemento importante della strategia difensiva in caso di invasione, perché questa gente combatterebbe in casa, per difendere la propria terra, le proprie case, la propria acqua, la propria famiglia, il proprio onore. Questo federalismo all’irakena, insomma, potrebbe rendere più faticosa l’avanzata americana..."