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QT n. 18, 30 ottobre 2004 Cover story

La crisi dei privilegi

Dellai sui soldi della politica è costretto a cambiare rotta, bruscamente e vistosamente. Storia e retroscena di una devastante crisi di consenso, prontamente arginata. Resta il problema di fondo: la perdita di credibilità della Giunta provinciale. I motivi, le prospettive, i rimedi.

Scattava come una molla Lorenzo Dellai, quando il consigliere bolzanino della Fiamma Tricolore, Donato Seppi, a coronamento di un’opposizione tanto puntigliosa quanto sgangherata, chiedeva "per favorire gli ipocriti" (qualificante obiettivo) il voto segreto su un emendamento decisivo alla legge limita-privilegi.

Il consigliere regionale donato Seppi (Fiamma Tricolore).

Il ragionamento di Seppi, ben compreso da Dellai, era chiaro: nel segreto dell’urna il singolo consigliere, più che alle indicazioni di partito (e alle pressioni dell’opinione pubblica) risulta sensibile al richiamo del portafoglio; e quindi la legge che gli lima lo stipendio la affossa. Esito fortemente voluto da Seppi, ed altrettanto, o forse ancor più, paventato da Dellai. Come mai?

Sulla posizione di Seppi non vale la pena di spendere molte parole: è la rendita di posizione di chi crede di avere una rappresentanza etnica (gli italiani di Bolzano), per cui si ritiene autorizzato a sostenere qualsiasi cosa, se opportunamente ammantata di demagogia. In questo esercizio era di gran lunga il primo; ma non il solo: basti citare il leghista Divina e l’ex-diessino Parolari, che spiegavano i lori voti di astensione non con il fatto che volevano tenersi i soldi, ma che avrebbero voluto (vietato ridere) una decurtazione maggiore.

A parte queste miserie, il punto vero era la posizione di Dellai: come mai il presidente della giunta provinciale, da sempre solennemente indifferente alla questione morale, era così attivo nel limitare i privilegi dei consiglieri? Difatti Dellai, assiso scomodamente sullo scranno, era costantemente sul chi va là: nella selva di votazioni su emendamenti e subemendamenti, quando si arrivava a qualche snodo decisivo, era il primo ad alzare vistosamente il braccio, fulminando i suoi che non si sbagliassero; il primo a rumoreggiare per le decisioni procedurali sfavorevoli.

Il consigliere Roberto Pinter (Ds).

Insomma, se il diessino Pinter, con fredda lucidità ed argomentazioni pacate eppur ficcanti, illustrava gli aspetti tecnico-giuridici dei vari passaggi, e quindi tracciava la rotta, ad incitare la ciurma ai remi ci pensava Dellai, con il noto piglio autoritario, qui anche appassionato.

Appunto: come mai?

Facciamo macchina indietro. E torniamo a sei giorni prima, quando si discuteva dei soldi da dare in più ai gruppi consiliari, per consulenze, portaborse ed amenità varie.

L’oggetto era lo stesso: il costo della politica, che si voleva ulteriormente aumentare, nel modo più impudente e spudorato. Perché lo sanno tutti nelle stanze del palazzo (vedi L’egemone e gli irresponsabili) che i fondi dei gruppi consiliari sono utilizzati con la più totale discrezionalità, per consulenze e sondaggi d’opinione, d’accordo, ma spesso anche per spese personalissime, come il guardaroba del consigliere, il mobilio di casa, le casse di spumante, eccetera, al punto che molti i soldi del gruppo li fanno versare direttamente sul proprio conto corrente personale. Una vergogna. Che, non contenti, si intendeva estendere.

Il fatto era che l’aumento dei fondi costituiva la base di un innominabile eppur visibilissimo inciucio fra maggioranza e opposizione, o meglio di un accordo personale tra il presidente Dellai e il capo dell’opposizione Mario Malossini: a Malossini i soldi, a Dellai l’approvazione di un nuovo regolamento consigliare che impedisca l’ostruzionismo. In un’operazione che non poteva non emarginare la sinistra (da sempre contraria agli aumenti dei costi della politica) e fare entrare la Forza Italia malossiniana nell’orbita della Margherita, come possibile nuovo alleato in alternativa agli scostanti diessini. Insomma, era la prefigurazione di una sorta di "maggioranza variabile": i DS non vogliono la PiRuBi? No problem, ci sono belli pronti i voti di Malossini.

Per Dellai uno splendido risultato: significava in un colpo solo liberarsi da una parte degli impicci degli ostruzionismi, dall’altra dei condizionamenti dei fastidiosi alleati. Il tutto per quattro soldi (non suoi, naturalmente).

Così, quando questa legge per l’aumento dei finanziamenti dei gruppi si incagliava per mancanza di fondi, il Presidente provvedeva: piombava in aula verso la mezzanotte (la discussione stava andando avanti ad oltranza) e risolveva tutto in un baleno: "I soldi ce li mette la Provincia". Problema chiuso e tutti a casa.

Ma aveva sbagliato i conti. Chiuso nel Palazzo, non aveva considerato che, oltre ai partiti, ai consiglieri, agli yesmen, c’è anche, fuori da piazza Dante, una società, che si può prendere per i fondelli solo fino a un certo punto. E in questo caso il segno era stato passato.

Così, in concomitanza con la chiusura della Michelin (Dopo la Michelin) e una generalizzata perdita di potere d’acquisto delle famiglie, i fasti della nuova A8 presidenziale, la munificenza dei nuovi fondi ai gruppi, il perdurare dei privilegi dei consiglieri, erano visti come uno schiaffo non più sopportabile.

Ed ecco quindi i quotidiani sempre più polemici; le chiacchiere nei bar sempre più cattive; i sindacati a presidiare grintosi l’aula del Consiglio; la Pastorale del lavoro uscire con un documento di dura condanna; perfino il vescovo Bressan, tradizionalmente inoffensivo e incolore, fare la predica; e anche gente come Gianni Bort, dall’alto della remuneratissima presidenza dell’Unione Commercio, predicare l’esigenza di maggiore moralità.

Lorenzo Dellai, ridotto a dover rispondere ogni giorno con piccate precisazioni ai giornali che su questo o quell’argomento lo attaccavano, decideva di cambiare rotta. La politica dell’indifferenza morale, della corruzione spicciola accontentando questo o quello con i soldi di Pantalone, lo stava portando a uno stillicidio di attacchi, ad una perdita di credibilità non più sopportabile, pena un continuo, inarrestabile logoramento. Doveva darsi una regolata. Di qui la sterzata, brusca.

Anche perché, con i propri machiavellismi, si era messo ulteriormente nei pasticci.

Per ammortizzare la montante e imbarazzante campagna stampa de L’Adige contro i privilegi dei politici (Politici, privilegi e faccia tosta), aveva nei mesi scorsi architettato un grazioso marchingegno: la legge che fissa indennità dei consiglieri e vitalizi degli ex, è regionale; quindi regionale deve essere la riforma (non è vero ma pazienza); quindi occorre l’accordo con la SVP; la SVP a ridursi i privilegi non ci pensa nemmeno; quindi si fa quel che si può. Ne era uscita, concordata con i sudtirolesi, una riformicchia gattopardesca, che cambiava qualcosa per non cambiare niente.

Ma ora c’era la necessità invece di cambiare davvero. Di qui i problemi di Dellai. Che però li affrontava di petto e riusciva ad uscirne. Dava il via ad alcuni emendamenti che trasformavano la riformicchia concordata con la SVP in una cosa abbastanza seria; così facendo scontentava la SVP che però, sconfitta in aula, se ne faceva una ragione; metteva in riga i suoi che si guardavano bene dal mettersi contemporaneamente contro il capo e contro la pubblica opinione; si avvaleva delle capacità della sinistra, che in una battaglia che stava nel suo Dna dava - finalmente - il meglio di sé.

Ecco quindi come in sei giorni erano cambiate tante cose.

Per capire meglio la nuova situazione, partiamo ora da Bolzano, dove i consiglieri provinciali possono papparsi indennità e vitalizi munifici senza che nessuno protesti. La Svp i costi della politica può incrementarli; a Trento la Margherita no. Come mai?

Il punto è proprio qui. Nel fatto che i sudtirolesi sono (e lo sanno) la minoranza etnica che sta meglio al mondo. E di questo rendono merito alla propria classe politica, verso la quale sono sommamente indulgenti.

La votazione sulla riduzione dei privilegi.

La questione morale diventa invece decisiva quando una classe politica si dimostra inconcludente e quindi parassitaria. Bismarck era un ladrone, ma nessuno gli ha contestato alcunché; Bruno Kessler era nato poverissimo e morto plurimiliardario, ma è un padre della patria; la DC aveva i noti viziacci, ma ritenuti veniali finché l’89 (caduta del Muro) non sanciva la fine del suo ruolo di baluardo anticomunista e il ’92 (trattato di Maastricht) non richiedeva la concorrenzialità del sistema-paese.

E se vogliamo, anche da noi, sono ormai otto anni che Questotrentino denuncia le contiguità di Dellai con vari affarismi; eppure ciò non ha impedito né le genuflessioni della sinistra al nostro leader prima, né i suoi successi elettorali poi. E questo perché Lorenzo (allora) Magnifico appariva come colui che era in grado di voltar pagina, come da fortunato slogan elettorale; e alle sue debolezze non ci si voleva credere, o le si riteneva pecche veniali.

Invece adesso Dellai si accorge di non poter più agire indisturbato; di trovarsi addosso lo sguardo, sempre più critico, della pubblica opinione.

Questo è il senso della crisi dei privilegi. La classe politica trentina, e con essa il Presidente della Giunta, ha accumulato un gap di credibilità.

Per questo il pasticciaccio brutto dei privilegi è solo la febbre, che indica la malattia. Dellai si è dato da fare, celermente e bene, per far passare la febbre; ora però deve affrontare la malattia: la perdita di credibilità della sua politica.

Ma perché Dellai non incanta più? Forse perché non ha realizzato abbastanza? Perché non ha aperto abbastanza cantieri, non ha concesso abbastanza contributi?

Indubbiamente può pesare sull’attuale giudizio non positivo l’incaponirsi su una serie di realizzazioni discutibili. E per le quali dunque si è perso tanto tempo, e ancor più se ne perderà, per approdare sostanzialmente a poco o niente. Così se per la Jumela, dopo un lungo tormentone alla fine (purtroppo) si è arrivati alle ruspe, non così per l’inceneritore, contro cui peraltro è all’opera un’opposizione numericamente ridotta ma tenacissima; la PiRuBi - ne parleremo poi - è di là da venire; la bufala dell’aeroporto, come titolavamo già cinque anni fa, si è rivelata appunto tale, con il parallelo disastro del pur meno strampalato scalo di Bolzano; del nuovo ospedale – altro sfizio da Autonomia grassa – non se ne parla più.

Insomma, si è concentrato il dibattito e l’attenzione della pubblica opinione su una serie di realizzazioni discutibili, e quindi poco realizzabili.

Il punto è però che l’accoppiata Dellai-Grisenti ha puntato troppo sulla propria efficienza nel passare ai cantieri, considerando i rilievi contrari come fastidiose azioni di disturbo, da scrollarsi di torno e non come opinioni da approfondire e valutare con serietà. Trasformando così in simboli – dei rapporti di forza nella coalizione, delle capacità realizzative del governo - proprio gli obiettivi più opinabili, e quindi meno realizzabili.

Il problema vero è che tutte queste realizzazioni sono arretrate: derivano da una visione della società vecchia di almeno 20 anni. La Jumela risponde alle vetuste logiche delle società impiantiste deficitarie ed assistite, quando invece il turismo di domani sarà più legato all’ecologia che ai tralicci; l’inceneritore è anch’esso una risposta sorpassata al problema dei rifiuti (Rifiuti: l’irresponsabile corsa al business), quando oggi e ancor più domani si punta su contenimento, differenziazione, riciclo; il progetto PiRuBi, per di più deficitario, nasce dalla logica per cui il traffico su gomma è una risorsa, anziché una fonte di congestione e inquinamenti; il nuovo ospedale (quando quello "vecchio" ha 34 anni e sta beneficiando di radicale ristrutturazione) e il ridicolo aeroporto sono buchi improduttivi giustificati solo dall’illusione dei miliardi facili del bilancio provinciale. Insomma, non sono progetti per il Trentino del futuro, ma favori alle lobby del passato.

Non possiamo misurare quanto l’opinione pubblica abbia recepito delle critiche piovute su una tale impostazione. Di sicuro essa riscontra l’impasse di tanti, contrastati progetti. E percepisce una carenza grave nella giunta Dellai, decisiva in questo difficile avvio di millennio: la carenza di una visione, sufficientemente concorde e non sloganistica, del Trentino del duemila.

Perché, in parallelo alle realizzazioni strampalate fortunatamente impantanate, ci sono le riforme che stentano. La riforma della ricerca, forse necessariamente indigesta a parte del personale, si è arenata sul dibattito fondazione sì – fondazione no. La riforma istituzionale (che dovrebbe promuovere un nuovo decentramento, utilissimo all’insieme del territorio, a condizione che l’ente più vicino ai cittadini non siano gli attuali impotenti micro Comuni) si è avviluppata in un penoso dibattito su barocche costruzioni di vari livelli di enti, per non scontentare le rendite di posizione degli attuali potentati (Incultura politica). E finora ha partorito un mostriciattolo: la fine della stagione della separazione tra potere politico e amministrazione, con la subordinazione dei segretari comunali ai sindaci.

Così come d’altra parte non va avanti, al di là delle trionfali conferenze-stampa di presentazione, l’infrastrutturazione telematica del territorio, di cui non si capisce l’importanza ("a cosa servirà poi?").

In tutto questo ci sembra di vedere un denominatore comune: i vecchi consolidati poteri che frenano il rinnovamento.

Questa è, secondo noi, la malattia di cui soffre la giunta Dellai. Malattia congenita: perché parte della Margherita è costituita da vetusti potentati, cultori di un sostanziale immobilismo; e un’altra parte ritiene che governare le contraddizioni significhi distribuire favori e contributi.

D’altronde la sinistra si è finora esercitata solo in un’azione – confusa ma abbastanza efficace – di interdizione. Come scrivemmo alcuni anni fa, la sinistra non è d’accordo sulla direzione del treno, ma invece di porre con durezza quella questione (per timore di essere invitata a scendere) si mette a sabotare. Che non è il massimo per una forza di governo.

E d’altronde da lungo tempo non sa più essere propositiva. Sa cioè dire dei no (in genere sacrosanti), ma di suo non propone alcunché. Non disegna in positivo un orizzonte altro rispetto al doroteismo margheritino. Per cui la sua attività è appunto quella di infilare i bastoni tra le ruote.

Per questo la crisi dei privilegi, anche al di là dello specifico, può essere salutare. Perché indica come, andando avanti così, la giunta Dellai non vada da nessuna parte.

Perché ha bruciato l’alternativa Malossini (il vecchio Mario si compra a buon mercato, ma con lui si può solo riprendere la politica pre-tangentopoli, consulenze e soldi facili).

Perché ora Dellai è costretto, se ne ha la lucidità, il coraggio non gli manca, a riprendere in mano il discorso del rinnovamento, ma senza più poter bluffare: il tempo sta scadendo.

E perché per la sinistra, se ne è capace, si aprono nuovi spazi: per dare contenuti innovativi a una coalizione che, ora, ne ha bisogno come del pane.

Se ne è capace, dicevamo.

Questo dovrebbe essere il tema (dopo il crepuscolo della segreteria Bondi, arrivata a teorizzare, dopo essere stata schiantata sulla Jumela, che "non è compito dei partiti proporre") il tema dell’attuale competizione, finora non entusiasmante, per la segreteria DS.