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QT n. 8, 21 aprile 2007 Servizi

Molto costosa, molto teorica: è la SSIS

Chi insegna ad insegnare deve avere, oltre alle conoscenze, molta esperienza sul campo. E invece...

Le SSIS, ossia le scuole per l’insegnamento secondario, forniscono l’unica possibilità di accesso alla professione di insegnante. Dall’anno accademico 1999-2000, con un ritardo di nove anni rispetto alla legge d’istituzione, non si diventa professori di scuole medie o superiori (di tutti gli ordini) se non attraverso la frequenza obbligatoria di questo biennio di specializzazione.
Nello scorso numero ci eravamo occupati dei problemi occupazionali in cui stanno incappando gli abilitati della SSIS, a iniziare da quelli trentini, che un combinato disposto di circolari, graduatorie, scadenze provinciali e nazionali rischiano di far affondare nel limbo della precarietà più frustrante. Al punto che, dietro tutta questa serie di norme perverse, sembra far capolino un retropensiero, che nei piani alti dei palazzi governativi non nascondono neanche più di tanto: gli specializzati SSIS sono maltrattati perché la loro specializzazione viene considerata fasulla, e la Scuola un flop.
Proprio su questo tema qui interviene il nostro redattore Antonello Veneri, insegnante specializzatosi alla SSIS, con questo polemico articolo di denuncia, che riflette l’esperienza sua e di altri abilitati.

Dunque la sola laurea, di per sé, non basta più: si considera che un insegnante, per essere tale, oltre alle materie apprese all’Università debba ricevere anche una formazione didattica e pedagogica. Si tratterebbe insomma di insegnare alla futura classe docente le tecniche e i metodi migliori per far apprendere ed amare le discipline ai loro studenti.

Per raggiungere questo obbiettivo, le SSIS italiane prevedono una doppia articolazione: da una parte i corsi di pedagogia, didattica disciplinare e quant’altro, dall’altra un tirocinio in classe per prendere contatto con la realtà della scuola. Una scuola per imparare ad insegnare, insomma, che vorrebbe garantire una formazione iniziale di qualità ed in linea con le metodologie in uso negli altri paesi dell’Unione Europea.

Invece, nella pratica, con le metodologie europee con cui si dovrebbe essere in linea, le SSIS italiane si trovano ad avere poco o nulla a che fare.

A cominciare dall’inevitabile e necessaria esperienza sul campo: laddove in Germania e in altri Paesi del nord Europa il tirocinio è una vera e propria esperienza lavorativa (retribuita), opportunamente sorvegliata, guidata ed integrata da percorsi di formazione inerenti alla reale pratica di insegnamento, ben altra è la situazione nelle SSIS italiane. Ad esempio in provincia di Trento il monte ore dell’attività di tirocinio (290 ore) è previsto dalla legge provinciale: "La Provincia definisce le modalità per lo svolgimento delle attività di tirocinio da realizzarsi presso le istituzioni scolastiche e formative".

Solo che, in concreto, di queste 290 ore (non retribuite), lo specializzando ne trascorre: 186 in classe o in altre attività della scuola, immobile come una pianta, rigidamente vincolato da una decorativa funzione di "osservatore"; 100 in "momenti di confronto" con tutor e supervisori (retribuiti); e solo 4 ore in due anni vengono dedicate a un momento di concreto insegnamento in classe.

In effetti, nella concreta realizzazione dei corsi e del tirocinio, in ogni provincia italiana si incontrano le realtà più diverse. Perché, anche se ci si aspetterebbe che la formazione specialistica all’insegnamento pretenda di avere una qualche scientificità, e quindi seguire criteri più o meno comuni a tutto il territorio nazionale (come avviene infatti all’estero), in realtà ogni SSIS è organizzata in maniera diversa in ciascuna regione, come peraltro previsto dalla legge, che stabilisce che siano le varie università a provvedere alla formazione degli insegnanti all’interno delle scuole di specializzazione.

In pratica, ciascuna di queste scuole di specializzazione gestisce la sua attività didattica un po’ come le pare.

Poche ma significative sono le "regole" che accomunano le varie SSIS: la durata biennale, articolata in due semestri per anno, l’articolazione in indirizzi, la frequenza obbligatoria ai corsi, con assenze consentite solo per 1/3 delle ore di lezione di ciascun insegnamento od attività; lo svolgimento del tirocinio; esami finali al primo e al secondo anno (con stesura di una tesi e discussione orale); esame di Stato finale abilitante.

Varia invece l’impegno richiesto e il calendario dei corsi: mattina o pomeriggio, spalmati sulla settimana come a Rovereto, oppure concentrati nel fine settimana come a Bressanone.

Insomma, non cambia la totale dipendenza delle SSIS dalle università. Varia invece, e moltissimo, il carico di ore di corsi, tenuti da docenti universitari o da loro assistenti, che gli specializzandi sono costretti a seguire. Il rischio era, perciò, che le SSIS si trasformassero in dépendance delle università, da sfruttarsi a seconda delle esigenze e delle caratteristiche strutturali dei diversi atenei.

Se andiamo a vedere il caso della SSIS di Rovereto, troviamo che è legata a doppio filo alla Facoltà di Scienze Cognitive attiva nella stessa città: il preside di Facoltà e il direttore della SSIS sono in effetti la stessa persona. E’ facile intuire da quale orbita universitaria provenga la maggior parte dei docenti e degli assistenti cui sono affidati i corsi che lì si tengono. Il che potrebbe anche andar bene, se non fosse evidente che le tematiche affrontate dalle Scienze Cognitive e i problemi che pone la didattica nelle scuole secondarie non sempre coincidono; anzi, non coincidono nemmeno tanto spesso.

E’ proprio necessario che un futuro professore di scuola media o superiore trascorra molte, davvero molte ore a occuparsi di esperimenti condotti sui topi, o a scervellarsi intorno a ricerche svolte grazie a software che simulano processi di comprensione?

Il personale docente delle SSIS è quasi esclusivamente universitario, e troppo rari sono invece gli insegnanti che provengono dalle scuole secondarie: ovvero coloro che quel mestiere lo hanno esercitato veramente. E’ quindi facile comprendere la perplessità degli specializzandi, che si trovano a seguire centinaia di ore di corsi tenuti da docenti che in una classe di scuola secondaria non hanno mai messo piede. La consulenza specialistica di un pedagogista e di uno psicologo può sempre servire, ma in fin dei conti chi frequenta la SSIS paga – e non poco – per essere formato ad una professione che si svolge quotidianamente nelle scuole secondarie, e presenta problematiche molto concrete.

E’ strano, dunque, che si scelga di affidare questa formazione quasi per intero a docenti che queste problematiche non le hanno mai dovute affrontare. Per dirla chiaramente: come può un insegnante che non ha mai, in vita sua, insegnato in una scuola media o superiore, insegnare un mestiere che non ha mai fatto?

Il risultato è uno scollamento quasi totale fra teoria e pratica. In effetti l’unica presenza di docenti di scuole secondarie prevista istituzionalmente dall’ordinamento delle SSIS sono i cosiddetti supervisori di tirocinio. Costoro sono insomma gli unici che, di necessità, devono avere effettivamente insegnato nella scuola pubblica.

Tutto ciò che riguarda invece la funzione del docente, i laboratori didattici, l’organizzazione e la gestione dei corsi, ecc. è demandato all’università. I docenti universitari, che si confrontano con realtà completamente diverse, si ingegnano ad elaborare modelli didattici avanguardistici e innovativi: ma queste "didattiche possibili", nei fatti, non vengono quasi mai verificate sul campo, e risultano pertanto astratte e inadeguate, se non addirittura improponibili.

Difatti, nelle lunghe ore di docile e passiva "osservazione" di cui consiste il tirocinio, ogni specializzando ha avuto modo di verificare che quanto gli viene insegnato nei corsi (che paga per seguire) per lo più a scuola non viene applicato, e in molti casi non è nemmeno applicabile.

Un esempio fra tutti: alla SSIS di Rovereto si dice di voler promuovere un rinnovamento dei tradizionali metodi didattici, attraverso la "didattica modulare" e il rinomato cooperative learning. Peccato che sia davvero arduo trovare un solo professore - dico di quelli che a scuola insegnano per davvero e degli stessi che insegnanti forniti dalla SSIS per il tirocinio - che si serva di questi metodi tanto efficaci e tanto innovativi. E' evidente lo scarto tra nuove teorie didattiche e prassi scolastica. A questo punto ci si potrebbe porre la domanda più banale del mondo. Perché coloro che elaborano (nelle torri d'avorio universitarie) questi nuovi modelli didattici non si preoccupano del fatto che non vengano utilizzati?

Attendiamo fiduciosi una risposta. Anche se abbiamo già elaborato (non nelle torri d'avorio, ma frequentando la SSIS) alcune ipotesi.

I nsomma, l’attuale conformazione delle Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario pone diversi ordini di problemi.

Primo fra tutti: è facile, oltre che di moda, profondersi in pianti greci sul deplorevole stato della scuola italiana; ma non sarebbe allora il caso di occuparsi seriamente della formazione di chi questa scuola la farà funzionare, giorno dopo giorno, con il suo lavoro?

Dietro la questione della formazione degli insegnanti si trova quella, estremamente delicata, della formazione dei ragazzi che le scuole secondarie – medie e superiori – le frequentano. Non sarebbe dunque meglio dotare i futuri professori di strumenti più concreti, realmente utili nell’esperienza dell’insegnamento e dell’educazione?

Con buona pace dei saperi specialistici, nulla può sostituire l’esperienza in una professione quanto mai pratica e pragmatica come è quella dell’insegnante. Esperienza che, l’abbiamo detto, la maggior parte dei docenti che esercitano nelle SSIS non ha. Esperienza che gli specializzandi, pur volendo, non si possono fare: non possono e non potranno finché il tirocinante verrà inteso come un pezzo di arredamento delle classi che "osserva". Qualità della formazione del corpo docente significa anche qualità dell’insegnamento, qualità della scuola: spiace vedere che un punto tanto delicato sia liquidato con tale approssimazione.

Infine, resta un secondo ordine di problemi. Il diritto degli studenti di scuola secondaria ad avere degli insegnanti professionalmente formati merita il massimo rispetto.

Meriterebbe però anche maggior rispetto il denaro e il tempo che gli aspiranti professori investono nella loro formazione.