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Un interrogativo per i pacifisti

Nicola Polito

Le ripetute e drammatiche vicende di imboscate ed attacchi alle forze statunitensi in Irak pongono a tutti noi, sensibili al tema della pace e sostenitori della risoluzione diplomatica delle controversie internazionali, un motivo di riflessione lacerante. Io, come altri milioni di cittadini dell’Occidente, ho sostenuto con le parole e le azioni dimostrative il movimento della scorsa primavera contro la guerra preventiva di Bush in Irak e lo rifarei convintamente. Ma oggi quel movimento di opinione deve riflettere su ciò che sta accadendo. Credo che in questo ragionamento si debba prescindere dal mutamento radicale dell’impostazione di politica estera degli Stati Uniti, che da posizioni unilateraliste si è riproposta per un multilateralismo di comodo, dettato dall’emergenza contingente, anche in termini di natura esclusivamente finanziaria. Questo cambiamento, per i modi e le ragioni con cui è avvenuto, offrirebbe spazio per nuove polemiche del tutto legittime.

Dobbiamo prescindere da questo, prendendo atto che si va riattivando la rete delle soluzioni multilaterali. Ne siamo felici, pur non condividendo le premesse "interessate" da cui parte questo mutamento di prospettiva. Ma il punto è un altro ed è drammaticamente evidente ed urgente: i giovani soldati americani muoiono giorno dopo giorno e la guerriglia è in atto, cruenta come solo la guerra non dichiarata ed invisibile della rappresaglia e del terrorismo sa essere. Dinanzi a questo quadro rimango, come giovane sostenitore dei movimenti pacifisti, privo di orientamento. Non posso più soltanto dire che sono contro la guerra, non è più sufficiente. Devo dire come questa guerra deve essere fermata e risolta.

E’ drammaticamente urgente che questa domanda sia posta nell’agenda. Le posizioni di retroguardia non possono essere ammesse oltre. Ai movimenti, ai partiti, all’Ulivo, alla società civile, alle o.n.g. spetta il difficile compito di farsi carico di questo interrogativo: i giovani soldati americani continuano a morire, così come i civili irackeni. Come si spezza questo incubo di sangue? Non possiamo lasciare che si radichi la demagogia di una parte come dell’altra.