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Ritirarsi dall’Iraq

eztn@altroadige.it

Le 26 vittime, italiane ed irachene, dell’attacco al comando dei Carabinieri a Nassiria ci ricordano che la guerra in Iraq non è finita e che anche l’Italia è in guerra. A loro, come a tutte le vittime di una guerra che non si doveva fare, va innanzi tutto il nostro pensiero. Alle loro famiglie, ai loro figli, ai loro cari, va il nostro cordoglio. Per noi i morti sono tutti uguali: evitabili. Anche questi si potevano evitare.

Ci avevano detto che la guerra era finita. Che gli iracheni avevano accolto l’esercito Usa come liberatore. Ci avevano detto che una nuova era di pace e democrazia si era aperta per l’Iraq. Non era vero.

Ci avevano detto che si doveva disarmare l’Iraq dalle armi di distruzione di massa. Ci avevano detto che la guerra avrebbe contribuito alla lotta al terrorismo. Non era vero.

Con l’invio dei militari in Iraq in appoggio ad una guerra condannata dalla maggioranza del popolo italiano ed in violazione dell’articolo 11 della Costituzione, il Governo si è assunto la responsabilità di partecipare, sotto comando americano, all’occupazione di un paese esponendo migliaia di giovani militari e civili al rischio della guerra per potersi sedere al tavolo dei vincitori. Oggi lo stesso Governo ribadisce con forza la volontà di proseguire la missione. Noi non siamo d’accordo.

Non è vero che ritirando i militari si rinuncia a sostenere la popolazione irachena. E’ vero il contrario. Molto di più si potrebbe fare se i 40 milioni di euro che si spendono ogni mese per mantenere il contingente militare fossero usati per ricostruire scuole, ospedali, centrali idriche.

Non è vero che è necessaria una presenza militare per fare questo: lo dimostrano le Ong italiane che con decine di operatori operano da mesi con interventi umanitari in tutto il paese. Sono questi gli interventi umanitari che bisogna sviluppare.

Non è vero che se le truppe si ritirano in Iraq ci sarà il caos e ci sarà il vuoto. Il caos è alimentato proprio dalla presenza degli occupanti che impediscono alla società civile e alle forze politiche irachene di assumersi la responsabilità del futuro del paese. Solo la fine della occupazione militare può mettere fine alla guerra.

Per questo chiediamo il ritiro immediato di tutte le truppe straniere dall’Iraq a cominciare da quelle italiane e l’avvio di un processo costituente gestito dalle forze irachene e garantito dall’Onu. Riteniamo che le forme e le condizioni in cui avverrà debbano essere decise dagli iracheni.

Solo un processo costituente che veda la partecipazione di tutte le componenti politiche, culturali, religiose ed etniche irachene può portare ad un futuro di democrazia.

Per questo sabato 22 novembre manifesteremo in tutte le piazze d’Italia contro la guerra e l’occupazione e per l’immediato ritiro delle truppe italiane dall’Iraq. Per questo chiediamo agli italiani di ribadire la volontà di pace riempiendo ancora i balconi e le finestre con le bandiere arcobaleno. Per questo aderiamo sin d’ora alla giornata mondiale di mobilitazione del marzo promossa dai movimenti pacifisti statunitensi con adesione di migliaia di movimenti in tutto il mondo, per un’altra giornata globale contro le guerre.

Per questo proseguiremo la mobilitazione nella società e verso le istituzioni nei prossimi mesi. Mai più guerra.