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QT n. 5, maggio 2020 Servizi

A chi daremo la nostra acqua

Tutto quello che dobbiamo sapere per capire la grande partita delle concessioni idroelettriche

La concessione di un bene pubblico è sempre un affare di stato, nel senso più tecnico del termine. Quando poi questo bene è l’acqua, l’affare impatta direttamente sul nostro quotidiano.

Per questo la decisione che il Trentino dovrà prendere nei prossimi tre anni sulle nuove concessioni del nostro patrimonio idroelettrico sarà, lo diciamo senza tema di esagerare, una scelta che influirà in maniera determinante sul futuro dell’intero territorio per un tempo molto lungo. E sarà un grande banco di prova per l’amministrazione provinciale, che dovrà per la prima volta gestire una questione di questa portata e complessità.

Entro il 31 marzo 2023, diciassette grandi centrali idroelettriche dovranno essere assegnate ad un nuovo concessionario. Numericamente sono la metà delle grandi centrali trentine, ma in termini di capacità produttiva costituiscono oltre l’80 per cento della nostra produzione idroelettrica. Quindi, quasi tutto.

Sarà la prima volta perché quando nel 1999 la provincia di Trento acquisì la potestà sull’energia, all’abolizione del monopolio statale, il braccio operativo locale che oggi si chiama Dolomiti Energia, si inserì in una situazione di concessioni già esistenti e in condominio con il precedente gestore, fosse esso Enel o Edison.

La materia è assai ostica, intrecciata com’è tra aspetti di ingegneria idrica, tutela ambientale e questioni normative relative alla regolamentazione stratificata tra norme locali, nazionali ed europee, per non dire delle procedure di concessione. Però, vista la portata della scelta dovremmo essere tutti, noi cittadini, in grado di capire quali sono i fondamentali. Perché solo così potremo capire in che modo, con quali conseguenze e a chi stiamo affidando la nostra acqua.

Per questo abbiamo chiesto aiuto a Gianfranco Postal, ex dirigente generale della provincia e in seguito magistrato della Corte dei Conti, che ha sempre seguito da vicino la materia.

Ci sono concetti fondamentali che tutti noi dobbiamo capire, per avere un quadro della situazione. Il primo, forse il meno sconosciuto, è il cosiddetto “deflusso minimo vitale”.

In passato - afferma Postal - la questione si poneva quando periodicamente i corsi anche di fiumi notevoli, come ad esempio il Sarca, si prosciugavano. Perché nei periodi di magra c’era il trattenimento da parte delle dighe per fare massa d’acqua nei bacini, poi la captazione degli altri utenti del corso d’acqua, dagli acquedotti innanzitutto ai bacini irrigui per l’agricoltura o per l’industria. Alla fine non rimaneva niente. Il fiume andava in secca e si vedevano foto con migliaia e migliaia di pesci morti. Foto che noi abbiamo usato per spiegare le nostre ragioni anche a Bruxelles. Si verificava un danno alla conservazione dell’ambiente perché morivano i pesci, ma moriva anche tanto altro perché non ci sono solo i pesci nell’ambiente”.

La progressiva sensibilizzazione per l’ambiente aveva prodotto l’idea che, in ogni caso, fiumi e torrenti dovessero mantenere un “deflusso minimo vitale”. Per non morire, appunto.

La centrale idroelettrica di Mezzocorona

Questo, ed altri parametri importanti, furono poi inseriti in un lavoro mastodontico fatto dagli uffici provinciali che si chiama “Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche”, dove vengono mappate le acque provinciali e il loro utilizzo consentito.

È un piano speciale per la provincia di Trento - spiega Postal -. Ce n’è uno parallelo per la provincia di Bolzano e la sua derivazione è dal nostro statuto di autonomia. Nelle altre regioni vige una legge nazionale che disciplina i bacini idrici di interesse nazionale e interregionale. Quindi c’è il piano del bacino del Po, il piano del bacino dell’Adige o quello del Brenta-Bacchiglione. Questi piani avevano dentro di sé una parte speciale che era il Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche, quello di Trento e quello di Bolzano. Erano frutto della gestione negoziale bilaterale fra Stato e singola Provincia autonoma e, per noi, comprendeva anche la condivisione con le regioni finitime, perché evidentemente quando andiamo a trattare del piano generale delle acque della Provincia di Trento, dato che questo ha valenza anche a livello nazionale, dobbiamo necessariamente coinvolgere nel procedimento anche le altre regioni. Il lago di Garda è tutt’uno, si devono chiaramente consultare la Regione Lombardia e la Regione Veneto. Col Veneto condividiamo i bacini di Brenta e Adige. Con la Lombardia interagiamo per quanto riguarda il bacino del Po perché ci sono due affluenti, Chiese e Sarca, che vanno a finire nel Po”.

Approvato nel 2005, è ancora oggi la “Bibbia” a cui dobbiamo attenerci per stabilire i parametri di concessione: “Non è un documento programmatico - spiega Postal - Tutte le sue prescrizioni sono vincolanti”.

Il problema, nell’uso dell’acqua per produrre energia non è la quantità catturata (che a monte è moltissima, circa l’85 per cento, ma ovviamente viene poi restituita a valle delle centrali), ma la modulazione con cui l’acqua viene condotta a forza nei bacini. Se l’acqua, soprattutto nei periodi di magra, viene catturata tutta, abbiamo il problema dei fiumi che si seccano. Per converso, limitando la quantità d’acqua che entra, per consentire la vita del fiume a valle, i tempi per riempire un bacino si allungano e questo rende meno “produttivo” l’impianto.

Su questo aspetto, spiega Gianfranco Postal, si gioca un parametro fondamentale della gara di concessione. Perché se non possiamo scendere sotto un certo limite, possiamo sempre attribuire ad un concessionario che mi prometta un rilascio maggiore di acqua un punteggio più alto. Tenendo conto che i bandi di concessione quantificano in percentuali l’importanza dei vari parametri (e ovviamente vince chi ha il punteggio più alto), dare una percentuale più alta o più bassa a questo fattore determina quanta acqua avremo libera nei nostri corsi. Queste percentuali saranno stabilite dalla Giunta provinciale quando verrà preparato il bando di gara per le concessioni.

L’ambiente e la sicurezza

La centrale di Caoria, nel Vanoi.

Ci sono però altri aspetti ambientali, al di là dell’acqua che nutre i fiumi.

Nella difesa ambientale - continua Postal - ci metto anche quella parte rilevantissima che è la compatibilità con la tutela del suolo, del corpo idrico e della sicurezza del territorio. Pensiamo alle piene, alla loro laminazione, ma anche alla sicurezza geologica del territorio. Spetta al concedente, cioè la Provincia di Trento, tutelare e trasformare questa tutela in parametri, in vincoli ed obblighi per il concessionario. Su questi aspetti l’ente pubblico si fa anche garante verso la sua popolazione che deve tutelare attraverso i controlli e l’utilizzo del proprio potere di interferenza per garantire che siano rispettati. Tutto questo viene scritto nella legge di concessione, ma poi soprattutto, i parametri devono essere inseriti nel capitolato, nella regolamentazione della concessione”.

Come si vede, non sono aspetti semplici da determinare. A Postal chiediamo se la nostra amministrazione parte da zero per fare questo imponente e delicato lavoro.

Partiamo da un dato di fatto - esordisce. Quando la Provincia è subentrata allo stato all’inizio del 2000, c’è stata l’acquisizione di tutti i fascicoli dei vari uffici statali disseminati vuoi a Belluno, vuoi a Verona, a Milano o dov’erano, ripresi dalla Provincia che ha preso in mano queste concessioni, con quello che c’era scritto dentro. A quel punto è stata fatta una revisione. Ricordo che nel frattempo si stava lavorando sulla elaborazione del Piano generale delle acque. Perché per elaborare quel piano ci vogliono anni, ci sono studi su studi che a loro volta sono basati su osservazioni di lungo periodo e quindi a quel punto è stata fatta anche una verifica di tutte le condizioni. È da gennaio 2000 che si stanno facendo questi studi. Quindi diciamo che grosso modo chi ha in Provincia la responsabilità di questa materia, nelle varie generazioni di funzionari che si sono succedute, è da vent’anni che ci lavora sopra. Adesso credo che sia giunto il tempo di tirare le fila sotto i vari profili. Al contempo teniamo conto che tutte le informazioni e il know-how le abbiamo avute attraverso Enel, Edison ecc. C’è stato tutto un interscambio nella stessa gestione delle concessioni. Pensiamo solo a quante piene si sono dovute affrontare dal 2000 ad oggi, quante volte si è avuto il problema di salvaguardare Verona dall’inondazione utilizzando la galleria Adige-Garda, che, ad esempio, è stata ricostruita completamente dalla Provincia perché era in condizioni parecchio usurate. È stata completamente rifatta, ma è stata anche utilizzata. Il meno possibile, però quella volta che serve o la sai usare e hai la competenza o sennò Verona e dintorni vanno a finire sott’acqua. Ci sono questi venti anni di apprendimento, di specializzazione, di studio e analisi. Adesso si tratta di arrivare al dunque”.

Anche in questo caso ad ogni parametro di tutela dovrà essere assegnato un punteggio percentuale stabilito nel bando di gara. Questo parametro, sentiti ovviamente i tecnici, sarà alla fin fine una decisione politica della giunta.

E, per capirci, dare un valore più o meno grande all’esperienza di un concorrente nel maneggiare cose molto delicate come la gestione delle piene può comportare per i trentini vivere con una maggiore o minore sicurezza rispetto a possibili alluvioni. Non proprio un dettaglio.

I “beni asciutti”

Non c’è però solo l’aspetto ambientale su cui prendere decisioni fondamentali. In questo passaggio cruciale per il Trentino si dovrà decidere anche che fine faranno tutti quelli che i tecnici chiamano “beni asciutti”, vale a dire gli edifici delle centrali e tutti i macchinari di produzione come turbine, alternatori, trasformatori e via dicendo.

Questi sono di proprietà dell’attuale concessionario. Per legge la Provincia potrebbe acquistarli (e le questioni di loro valutazione e prezzo non sono per niente banali), oppure lasciare che questo aspetto venga contrattato privatamente tra il concessionario uscente e quello che entrerà. Se dovessimo decidere di comprarli ci costerebbero circa 350 milioni di euro, secondo la valutazione ultimamente accreditata.

Abbiamo chiesto a Postal se faremmo un buon affare comprando anche l’ultimo pezzo della filiera di produzione idroelettrica (teniamo conto che i cosiddetti “beni bagnati”, ovvero le dighe, le condotte forzate, i tunnel e via dicendo vengono acquisiti per legge a fine concessione, nel 2023, al demanio idrico provinciale e quindi ne saremo da allora in poi proprietari).

Sulla parte industriale - è la risposta - il bisogno di incidenza da parte della Provincia non è lo stesso che sulla tutela dell’ambiente o della sicurezza. D’altra parte se la Provincia acquisisse anche i beni industriali si troverebbe ad essere la proprietaria di tutti gli asset e quel punto avrebbe un maggiore spazio decisionale, di programmazione in più, perché deciderebbe in veste di proprietario. In teoria la differenza non è moltissima però lì la scelta è politica, nel senso di polis, di come si interpreta la migliore soluzione per la tutela dell’interesse generale”.

C’è, nei pour parler politici, una forte spinta a comprare, a poter dire “è tutto nostro”. Ma per valutare bene la giunta provinciale dovrà tener presenti alcuni aspetti. Il primo è che, essendo proprietari totali, potremmo evitare la gara di concessione (che attualmente ci è imposta dalle norme europee sulla concorrenza e che non tutti vedono di buon occhio per le porte che si aprono a concorrenti di grande potenza industriale e finanziaria, più difficili da controllare nei fatti) e dare le centrali in appalto. Una normativa più agevole di quella molto complessa della concessione e che consente durate più limitate. Per contro però, l’ente pubblico sarebbe responsabile, e dovrebbe sostenere i costi, per manutenzione e innovazione degli impianti. Per non dire del fatto che dovremmo trovare quei 350 milioni. Vista oggi, la cosa non è detta/fatta. Poi, magari, deciderà per noi il Coronavirus.

Ci sono altre decisioni impattanti che dovranno essere prese in futuro in piazza Dante. Riguardano il peso da dare nelle concessioni al prezzo (la giunta inizialmente ha dato grande importanza a questo parametro, con vari soggetti politici ed economici che hanno chiesto di moderarne l’importanza), la suddivisione dei ricavi che vanno in parte ai comuni rivieraschi, la possibilità di fare un’unica gara per tutte le diciassette centrali oppure più gare per diversi gruppi di impianti (la legge stabilisce che ogni concorrente può partecipare ad un’unica gara) e la durata delle concessioni.

Tutte cose che hanno impatti non da poco sulle nostre finanze e sulle comunità dove ci sono dighe e centrali e di cui ci occuperemo nel prossimo numero. Quando, forse, il Consiglio provinciale sarà riuscito a discutere la legge sulle concessioni - solo il primo passo di questa nostra lunga marcia - che doveva andare in aula il 30 marzo, ma che è stato sloggiato a forza dall’emergenza sanitaria