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Un’altra lettera da Gaza

Fabrizio Bettini

N., la prima volta che l’ho incontrato, mi ha fatto quasi paura. Mi ha urtato la sua insistenza nel volerci a casa sua. Una brutta esperienza di qualche settimana fa ci ha insegnato a non essere sempre così fiduciosi nell’altro. Quello che mi dava noia era il suo non spiegare il perché visitare la sua casa. Il suo inglese fatto di poche parole e senza legami grammaticali aumentava la mia insicurezza. Diceva "small house" e io temevo un aiuto che noi non possiamo dare. Temevo credesse che "gli italiani" potevano aiutarlo a ricostruire un’eventuale casa spazzata via dai buldozzer israeliani. Chiediamo, per sicurezza, la compagnia di un amico palestinese per affrontare la visita. Mentalmente mi preparo a dover affrontare una situazione di bisogno alla quale non posso dare risposte.

Arrivati alla casa di N., scopriamo il significato dell’espressione "small house". Nel giardino prospiciente la casa, infatti, c’è il modellino di una città con tanto di grattacieli, strade e alberi. Ci sono delle mura che la cingono ed un laghetto sul quale passano dei moderni ponti con struttura metallica. M. dice: "Questa è la città dei miei sogni". Ci ha impiegato due anni di lavoro per costruirla e non è ancora terminata. Il progetto stampato nel suo cervello prevede la costruzzione di altri grattacieli e di un ponte.

In questo villaggio nel sud della Striscia di Gaza fa strano vedere questa città in miniatura. E’ proprio vero che è una città immaginaria, anche perché ci sono cose che qui sembrano proprio fantasia. C’è un mare artificiale che la lambisce, mentre quello vero, a pochi chilometri da qui, è sbarrato dall’insediamento israeliano. Ci sono strade ampie e sgombre che fanno immaginare la possibilità di muoversi liberamente, mentre la realtà prossima del check point israeliano di Abu Holi impedisce agli abitanti reali della Striscia di muoversi liberamente. Ci sono due grattacieli più alti degli altri ed è facile ricordare le due torri di New York.

N. si affretta a dire che nella sua città non c’è Bin Laden. Non ci sono nemmeno i soldati israeliani, che sento vociare nel buio della sera attraverso un megafono; poi si sentono degli spari ed anche questo non esiste nella città in miniatura.

La città non è la Striscia di Gaza, la città rappresenta il fuori, l’oltre. Rappresenta il mondo oltre la Striscia, l’uscire da questa realtà dove i palestinesi sono prigionieri in casa loro, in quello che si può definire un ghetto.

N. è un po’ eccentrico e ha una fissa per il Giappone e la sua scrittura a ideogrammi, ma con il suo sogno tramutato in mattoncini e strade sopraelevate ci risulta molto simpatico. Quando saliamo sulla terrazza della sua casa "vera" e vediamo dall’alto la città in miniatura, lui dice: "Da qui volo sulla mia città".

N. mi è simpatico perché è un creativo; forse, con la sua fantasia e la sua città, sopporta meglio questa realtà opprimente. Fin da piccolo ha capito le varie accezioni del termine occupazione, a partire da quando suo padre è stato lontano da casa per dodici anni. Torturato con scosse elettriche e rinchiuso in una piccola cella per quasi un anno e per il resto ospite di un carcere israeliano. Le sue visioni di ragazzino, durante la prima Intifada, gli hanno ispirato una serie di bassorilievi che ha modellato nel cemento. Rappresentano la vita dei palestinesi, la loro lotta, la loro carcerazione, la loro "messa in croce", e la loro speranza di libertà. La situazione attuale, della seconda Intifada, gli ha ispirato dei disegni con tratti decisi che rappresentano soldati, carri armati e elicotteri da combattimento.

Nei suoi disegni ricorrono ancora i sogni, oltre che la realtà: ci sono ancora paesaggi lontani ed immaginari, che stanno oltre, che stanno fuori. N. è un sognatore e il suo sogno è vedere Capri, l’Alaska e la Danimarca. Sogni strani in un posto come questo, dove il silenzio della notte e’ interrotto dal rumore dei tank dell’occupazione.