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I satrapi e il Governatore

Le critiche di Costruire Comunità, le reazioni inconsulte di Lorenzo Dellai e dei suoi. Quando il "dispotismo illuminato" del Presidente non riesce a nascondere i problemi.

Un Michele Nicoletti dal volto tirato, da anacoreta; un Silvano Zucal in maglione a righe, intellettuale-casual; un Walter Micheli appassionato e composto; più un Flavio Santini che sarebbe impiegatizio anche se si vestisse da Tarzan: questi i "satrapi" che alcuni giorni fa hanno scosso la politica trentina. Tutti appartenenti a una piccola forza politica, Costruire Comunità, in evidente stato di decomposizione: ma perché hanno spaventato tanto?

I quattro satrapi durane la loro esternazione: da sinistra Silvano Zucal, Flavio Santini, Michele Nicoletti, Walter Micheli.

In "sfogliando s’impara" entriamo nei dettagli delle pittoresche invettive (Satrapi che spalano merda) che i nostri si sono attirati; qui parliamo dei risvolti politici.

Innanzitutto cosa hanno detto? Al di là delle frasi ad effetto riportate dai quotidiani (e vissute come strappo insultante dagli suscettibilissimi destinatari: "non è questa la maniera!" è il commento più favorevole) si è trattato di un ragionamento articolato e pacato. Il tema: il Partito Democratico, da una parte come dovrebbe essere e come lo chiede il popolo delle primarie, dall’altra come i vertici locali lo vorrebbero interpretare e come lo declinano nel governo provinciale. In questa serie di rimandi, tra il dire e il fare, tra le esigenze e le risposte, tra il momento delle aspettative e la delusione della praticaccia, la critica era puntuale e ficcante. Così la "centralità della persona" viene conclamata, ma non praticata, vedi il caso dell’inceneritore; la cultura politica del Presidente si sustanzia in "paternalismo, dirigismo, dispotismo illuminista"; la questione morale è urgente, "per l’intreccio politica-criminalità nel Meridione, e quello politica-affari in Trentino"; alle elezioni deve essere capolista Romano Prodi, perché sarebbe una candidatura unitaria, mentre qualsiasi altro nome, Dellai per iniziare, ma anche Cogo o Betta o Kessler, significherebbe dividere.

E infine il concetto che – forse perché più enfatizzato sui quotidiani - più ha fatto imbufalire: il dibattito democratico è inesistente nelle istituzioni, per la scelta consociativa di Malossini da una parte, e perché dall’altra il combinato disposto nuove regole/sistema di potere margheritino, hanno spento il dibattito nella maggioranza, "i consiglieri non assessori vivono la sindrome del soldatino spaurito, si sentono in dovere di approvare le leggi così come vengono dalla Giunta, e chi osa svolgere il proprio compito – Bondi, Bombarda – viene visto come un sabotatore".

Questi i giudizi tanto scandalosi. Che Questotrentino ripete da diversi anni, ma – come dice il presidente – QT è un giornale pornografico. Eora anche gli austeri intellettuali di Costruire Comunità, a suo tempo cresciuti (Nicoletti e Zucal) proprio con Dellai nell’associazionismo culturale dei cattolici democratici, ora anch’essi sparano alzo zero.

Non crediamo che le reazioni scomposte siano dovute a complessi da amicizie tradite. Bensì a un problema politico vero.

Che avevamo già visto nella querelle con il vescovo sull’ambiente, o con la vicepresidente Cogo sulla pillola abortiva (La fragilità del Presidente).

L’azione di governo di Dellai, fondata sulla pretesa di poter tenere assieme velleità riformatrici e pratiche clientelari, si è arenata. Proprio perché i due termini sono difficili da coniugare: per fare riforme occorre grande credibilità, e questa la si dissipa con le praticucce dorotee. Con le quali si cementa sì un blocco di potere, ma che è conservatore; e che quindi, oggi, nelle temperie del 2000, viene percepito come inadeguato.

E a questo punto viene la tentazione di risolvere i problemi giocando sul nulla di un’opposizione comperata o impresentabile, o sull’acquiescenza degli alleati-satelliti. Ma non basta un Malossini o un Pacher che dicono sempre di sì, a nascondere i problemi: l’inceneritore, l’ambiente, le scelte di fondo (strade o cultura, modello veneto o modello alpino?) rimangono lì a chiedere soluzioni. E allora è logico che salti fuori, inaspettato ma dirompente, un comitato come Nimby, o un vescovo insignificante, o degli intellettuali rompiscatole a dire che il re è nudo.

Ma a quel punto, arrabbiarsi non serve a niente.