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QT n. 19, 12 novembre 2005 Cover story

La fragilità del Presidente

Dal contrasto con il vescovo Bressan a quello con la vicepresidente Cogo, passando per la questione morale: le ultime settimane travagliate di Lorenzo Dellai, stranamente in difficoltà nel dibattito politico. Un presidente troppo stretto tra le esigenze e aspettative della società, un ruolo riformatore che non decolla, una pratica politica che genera solo diffidenze.

"Mah, è stanco. Oramai fare il presidente non gli interessa più. Pensa a Roma..." Queste le parole che si rincorrono nel palazzo, su Lorenzo Dellai. Chiacchiere, come vedremo, eppure indicative di un momento di stanchezza del progetto dellaiano; un progressivo appannamento che rischia di diventare logorante. Perché a volte il potere logora anche chi ce l’ha. Ed è stato il caso di diversi episodi, anche clamorosi, accaduti in queste settimane, che qui rileggiamo cercando di inquadrarli all’interno dei sommovimenti della società trentina.

Il primo episodio è stato l’intervento del vescovo Luigi Bressan ad un convegno sulla mobilità organizzato a Borgo Valsugana.

Il vescovo aveva stigmatizzato "la crescita della cementificazione nelle nostre valli, che se progredirà allo stesso livello non lascerà nulla del verde"; e Dellai, piccato, aveva ribattuto sprezzante: "Sarebbe come se gli assessori si occupassero di teologia". Attirandosi critiche generalizzate.

Il vescovo di Trento Luigi Bressan.

Qui è evidente una caduta di professionalità: anche un politico alle prime armi sa che in queste circostanze bisogna fare da muro di gomma, e rispondere: "Ha ragione il vescovo, anche noi cerchiamo, nella politica di tutti i giorni, di coniugare le esigenze bla bla ...", come peraltro ha fatto, cinque giorni più tardi, il ben più roccioso assessore ai lavori pubblici Silvano Grisenti, che poi della cementificazione è il principale promotore.

Come mai invece il flessibile, diplomatico, astutissimo Dellai replica in maniera così sconsiderata, facendosi male da solo come il Berlusconi allo stadio terminale?

Non ci interessano le analisi psicologiche e le dietrologie personalistiche, che pur si sono rincorse. Vediamo invece il quadro d’assieme, partendo dal vescovo.

Luigi Bressan è un personaggio scolorito (vedi Costruttrice di pace, o seminatrice di zizzania?), definito "vescovo prezzemolo" per la sua capacità di essere presente ovunque senza dire mai niente di significativo, una sorta di Miss Tappa, a presenziare all’inaugurazione della galleria o della seggiovia, della scuola o del capannone industriale, sempre in prima fila, sempre irrilevante. A Borgo invece si produce in un intervento che suscita interesse, dibattito, scalpore.

L’occasione, come dicevamo, è un convegno organizzato dall’Arcidiocesi su"Viabilità e rispetto dell’ambiente", un appuntamento che si colloca all’interno del filone di pensiero che la parte più avveduta della Chiesa (un nome per tutti, il cardinale Martini) sta portando avanti da 15-20 anni sulla "salvaguardia del creato", sulla dimensione etica dell’intervento dell’uomo sulla natura, eccetera: un dibattito intenso e niente affatto scontato, con una varietà di posizioni non cristallizzate. E che ha prodotto anche l’humus culturale che, ad esempio, sta spingendo un numero considerevole di religiosi trentini a digiunare contro il progettato inceneritore.

Lorenzo Dellai

E qui sta il punto. Dellai, nella sua piccata replica, si era lamentato dell’unilateralità del convegno: "Mi sembra che i relatori abbiano tutti seguito la stessa tesi". Ma la cosa allora assume una dimensione ancora maggiore: se è senso comune in parte della Chiesa trentina, e quindi ben oltre il mondo ambientalista, che la Giunta persegua uno sviluppo autodistruttivo, forse il problema diventa politico. "Non vedo una buona ragione per continuare ad insistere su un presunto eccesso di stradomania da parte della Giunta" - si lamenta il presidente.

Sarà. Ma ormai in larga parte della popolazione prevale un giudizio opposto, che vede una Giunta stradomane ed una commistione tra affari e politica. Sicché anche un modesto personaggio come Bressan (vedi il suo successivo intervento sulla cremazione) riesce a farsi interprete di un comune sentire.

A noi risulta che il vescovo non sia affatto pentito del proprio discorso di Borgo.

Cosa di per sé non troppo grave, per Dellai. Ma indice di come i suoi continui scontri a tutto campo con l’ambientalismo, sempre vinti, rischino di essere state altrettante vittorie di Pirro.

Pochi giorni dopo, il secondo episodio. Dellai dichiara, di fronte al coordinamento del suo partito: "Non possiamo escludere a priori che qualche approfittatore si sia incuneato nelle nostre fila; che qualche millantatore si aggiri...".

E ancora: "Occorre fare ogni sforzo affinchè, se a qualcuno nelle nostre fila venissero addebitati comportamenti non corretti o penalmente rilevanti, la giusta riprovazione della gente non ricada su tutti". E propone un "comitato etico" interno per vigilare sui comportamenti degli aderenti.

L’iniziativa lascia sbigottiti i margheritini, e scopre il fianco a commenti sarcastici di avversari e alleati.

In effetti questa proposizione della questione morale rappresenta in Dellai una novità assoluta, anzi una brusca virata. Ricordiamo la somma indifferenza del presidente al problema; anzi, il suo aperto fastidio. Rammentiamo, tanto per citare solo gli ultimi casi, la nomina a presidente del Bim del Chiese di Vigilio Nicolini, già assessore democristiano condannato per corruzione: nomina fortemente sponsorizzata dalla Margherita, con aperto sprezzo verso chi (i Ds soprattutto) poneva problemi di opportunità (Dall’inceneritore alla questione morale); o ancora, la nomina alla vice-presidenza dell’ex presidente della Regione Tarcisio Grandi, che si vide la carriera politica troncata dal mai chiarito traffico di valuta all’aeroporto di Mosca (Regione: soldi, auto, turismo di lusso).

Adesso indietro tutta: la questione morale è prioritaria, al punto da dover essere presidiata all’interno del partito da un apposito comitato, dai poteri indefiniti e incombenti.

Che senso ha?

Le risposte sono di due tipi. Prima: le inchieste della Procura sugli appalti, che da mesi stanno andando avanti, sarebbero arrivate al vertice, a qualche figura di primissimo piano della Margherita; avutone sentore, Dellai gioca d’anticipo, per smarcarsi e cercare di limitare i danni.

Seconda risposta: Dellai ritiene di non controllare appieno la sua creatura, come tanti leader affetti da eccesso di autostima (Craxi, D’Alema, Berlusconi, Fini, per non parlare di Mussolini) e snobba il proprio partito, non all’altezza del capo. Di qui il tentativo di rimodellarlo.

A nostro avviso, tutta la questione suona male, molto male. Ha ragione Dellai quando lamenta che "all’esterno è crescente la percezione della Margherita come ‘comitato d’affari’". Il fatto è che, fin dalla sua nascita, la Margherita si è mossa su due piani: i grandi discorsi innovatori da una parte, e dall’altra i rapporti con l’affarismo ramificato sul territorio. Dai "miliardi a Tosolini" che primi e unici denunciavamo nel lontano ’96, alla cessione dell’area Michelin ai poteri forti di Trento in vista della campagna del ’98, un’operazione di cui oggi paghiamo ancora i costi (vedi un aggiornamento su questo numero, Ex-Michelin, l’ultimo regalo); fino alla commistione tra cariche sia nella Margherita come nelle imprese predilette dall’ente pubblico (vedi l’articolo sull’impresa Oberosler nel numero scorso, L’impresario e la Margherita).

In questa situazione, che senso ha, inventarsi, dalla sera alla mattina, una nuova spinta etica?

Anche perché, se di una svolta etica c’è bisogno, essa dovrebbe iniziare non nei partiti, ma nell’amministrazione. E’ innanzitutto l’ente pubblico, che al proprio interno deve avere gli anticorpi (cultura, controlli, procedure) in grado di individuare e bloccare le malversazioni. L’azione di Dellai invece è stata – purtroppo – indirizzata nel senso opposto: smantellare gli apparati di controllo, mortificare l’autonomia della struttura, piegarne l’imparzialità, sottomettere i giudizi tecnici ai voleri – ritenuti insindacabili – della politica.

E oggi – peraltro in perfetta ma negativa coerenza – riprende il problema per la coda: se vanno introdotti antidoti etici, lo si fa nel partito, non nell’amministrazione. Quest’ultima, nella sua subordinazione, seguirà.

Terzo episodio: la pillola abortiva. E’ la Ru 486, che permette un aborto relativamente poco traumatico, senza intervento chirurgico, con solo ricovero ambulatoriale. Se ne parla in una trasmissione televisiva, cui partecipa la vicepresidente diessina della Giunta provinciale Margherita Cogo; la quale, al termine della trasmissione, dichiara sua intenzione proporre in Giunta l’adozione della pillola nelle strutture sanitarie trentine.

La vice-presidente della Giunta provinciale, Margherita Cogo (Ds).

Apriti cielo. Dellai dà in escandescenze: "La pillola abortiva non è e non sarà all’ordine del giorno". Ma c’è di più: Dellai toglie alla Cogo il diritto alla parola ("Gli assessori parlino delle cose di loro competenza"), minacciandone la cacciata dalla Giunta.

Una dichiarazione fuori di testa: dispotica nel metodo (la Giunta è un organo collegiale, dovrebbe essere prassi normaleche gli assessori, e in particolare il vicepresidente, propongano al suo interno temi, e magari sollecitino una discussione con l’opinione pubblica, ) e infondata nel merito ("Piaccia o no, in Italia l’aborto è legale – dichiara la Cogo – ed è nostro compito renderlo meno invasivo e pericoloso per le donne").

Il fatto è che Dellai da una parte ritiene di dover governare con pugno di ferro la sua compagine: di qui anche un elevato livello di violenza verbale, come quando in Consiglio si fionda sul margheritino Viganò, riottoso ma cattolicissimo figlio di Maria, apostrofandolo con bestemmie che fanno accapponare la pelle ai consiglieri laici; o quando pubblicamente, sulla stampa, si rivolge ad una sua assessora dicendole: "Hai fatto la pipì fuori dal vaso", frase di insultante violenza di un uomo verso una donna (e la cosa è accaduta due volte, con la Cogo e con la Berasi; poi, ahimè, la diessina Wanda Chiodi gli ha replicato con la stessa frase, siamo ormai a questo livello...).

Dall’altra, il presidente ritiene indispensabile apparire particolarmente ossequiente alle indicazioni della Chiesa su certi temi. Il no alla pillola infatti ha solo un senso pesantemente punitivo nei confronti della donna: se vuole abortire è una poco di buono, una peccatrice, ed è giusto che soffra e rischi.

E’ una posizione senza senso civile; e nemmeno senso giuridico. Infatti la legge 194 sull’aborto recita: "Le Regioni... promuovono l’aggiornamento del personale sanitario... sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza".

IL segretario provinciale dei Ds, noncè assessore alla Sanità, Remo Andreolli.

Questi dunque i termini dello scontro Dellai-Cogo. Con la seconda che rischia grosso, anche perché viene prontamente abbandonata dal suo compagno di partito, Remo Andreolli, assessore alla Sanità e segretario dei Ds, che di fronte alle bordate di Dellai si limita a dichiarare: "La Provincia non ha richiesto al ministero di attivare alcuna sperimentazione sulla pillola abortiva".

Però la cosa è troppo grossa. E da Roma i Ds nazionali intervengono bacchettando Dellai. A Trento è una piccola insurrezione: le donne, i laici, tutto il centro-sinistra (con l’eccezione dei Verdi) mettono sotto tiro Dellai, che peraltro trova pochi difensori, se non tra i fondamentalisti cattolici come il consigliere Pino Morandini.

Di qui una rapidissima retromarcia. Dellai prima prende in esame e poi accetta una (convincente) soluzione tecnica individuata da Andreolli: dopo soli due giorni una conferenza stampa con il presidente, la vice e l’assessore, comunica che la Provincia attiverà le procedure per importare la pillola, da somministrare, a carico del servizio sanitario, negli ospedali trentini a tutte le donne cui venga prescritta dal medico curante. Un presidente frastornato ("Non sapevo bene cosa fosse questa pillola" ammette confuso) alza bandiera bianca (salvo poi apparire vincitore su L’Adige e Il Corriere, ma questa è un’altra storia, non bella, di cui parliamo in Come ti ribalto la realtà).

Anche Lorenzo Dellai, per quanto potente e da troppi considerato pressoché invincibile, non può permettersi di andare contro il sentire della società. La quale dalla politica reclama un’attenzione non ideologica.

E la cosa viene confermata dalla posizione che, con qualche travaglio, la Margherita sta assumendo sui Pacs: aperta, più attenta alle esigenze di una società in mutamento che non ai diktat clericali.

Questo infatti ci sembra il problema di Dellai, sotteso a tutti gli episodi che abbiamo testé visto: il problema di come si sta caratterizzando la sua presidenza, ormai all’ottavo anno e quindi seconda, in durata, solo a quella di Bruno Kessler.

Lorenzo Dellai infatti sta godendo di condizioni favorevoli, semplicemente impensabili negli ultimi quindici anni: un’opposizione di destra inconsistente, in crisi di identità, minata al proprio interno dall’aperto, scandaloso connubio che il suo maggior esponente, Mario Malossini (Forza Italia), tesse in continuazione con la maggioranza; un regolamento che mette al riparo da ogni possibile ostruzionismo; e degli alleati che – a parte appunto le uscite della Cogo – sono satelliti.

Condizioni quindi ideali per il disegno per cui Dellai vorrebbe caratterizzare la sua presidenza: avviare la riforma del Trentino per adeguarlo al duemila.

Le leggi di riforma in effetti ci sono: sulla ricerca, la scuola, la cultura, l’Itea, il turismo, l’urbanistica, l’assetto istituzionale, eccetera; i disegni di legge sono stati approvati, oppure a buon punto nell’iter legislativo.

Ma tutto questo avviene fra continue, estenuanti contestazioni. Il che è normale: una riforma, se è tale, va a mutare assetti, e quindi a ledere interessi. Il punto è che il processo riformatore non solleva in parallelo alcun entusiasmo, non ha forza, non ha credibilità, non si vede un disegno complessivo. E allora gli interessi lesi acquistano vigore: e difatti, nel bene e nel male, condizionano pesantemente le leggi di riforma, che escono stravolte e nella società incontrano soprattutto diffidenza.

E qui ritorniamo al punto di partenza: la credibilità di Dellai, della Margherita "comitato d’affari", della giunta.

L’aver pensato di poter tenere insieme rapporti clientelari e affarismi da una parte e azione riformatrice dall’altra, si rivela velleitario.

L'assessore alle Riforme istituzionali, Ottorino Bressanini (Ds).

Come pure si rivela alla lunga controproducente aver ridotto gli alleati al ruolo di vassalli, peraltro di dubbia fedeltà. In effetti la sinistra frastornata ha perso il ruolo (in passato ricoperto con grande slancio) di elemento propulsore del processo riformatore.

[/a]Nei giorni scorsi presso i Ds si è svolta a porte chiuse una riunione per fare il punto della riforma istituzionale, storico cavallo di battaglia della sinistra, e attualmente in carico all’assessore diessino Ottorino Bressanini. Riforma che forse più di ogni altra, fra compromessi continui e giravolte di 180 gradi, ha perso il bandolo della matassa (vedi Riforma istituzionale: qual è l'obiettivo? e Incultura politica). I relatori invitati, docenti universitari, hanno usato parole sprezzanti sullo stato dei lavori in corso; con una conclusione deprimente: "E’ meglio se non fate niente".

Ma il Trentino non può rimanere fermo, ha bisogno come il pane di adeguarsi per superare in avanti la fase, ormai terminata, dell’Autonomia assistita. Questa doveva essere la missione dell’era Dellai.

E Lorenzo Dellai fa bene ad essere preoccupato.