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QT n. 19, 10 novembre 2007 Cover story

Comune di Trento: speculazione, illegalità, menzogne

Avanzano i mostri edilizi in collina, secondo lo schema già visto e smascherato: norme accantonate, misurazioni fasulle, uffici comunali compiacenti. L’assessore all’urbanistica? Allarga le braccia: “ormai non c’è più niente da fare” (e non è vero). E così dopo Via alla Val, anche in Via Falzolgher i cittadini sono costretti ad organizzarsi, e avviare azioni legali contro gli scempi urbanistici.

E’ a Trento in via Asiago, la strada che, dopo il ponte di Gocciadoro, porta a Villazzano: c’è una esse, e poi, a sinistra, appare il mostro: una costruzione fuori misura, un mostro che dalla strada appare di cinque, sei, sette piani, a coprire la vista della collina e delle montagne, tra le prima tranquille via Falzolgher e Cernidor. Il cantiere va avanti veloce, si lavora in fretta. Oggi, novembre 2007.

Com’è possibile? Non ci sono severe norme che tutelano la collina, che fissano altezze massime di 10 metri e abitazioni di tre piani? E queste norme, il famoso Allegato 5 al PRG, che l’Amministrazione aveva messo in un cassetto e colpevolmente deciso di non applicare, non erano state imposte da una sentenza del TAR, ribadita dal Consiglio di Stato? Non ne era venuto fuori lo scandalo, da noi aperto col nome Il marcio nel Comune, che aveva costretto l’Amministrazione Pacher a rivedere il vergognoso andazzo?

Foto di Marco Parisi

E allora, come mai si continuano a perpetrare questi scempi? Si continua nella devastazione della collina, a vantaggio dei soliti immobiliaristi, in questo caso Dalle Nogare?

Non ci eravamo fidati del cambio di rotta annunciato dalla Giunta Pacher. Dopo anni di evidenti devastazioni, di documentato spregio delle regole, Pacher non aveva avuto il coraggio di prendere i dovuti provvedimenti: spostare ad altro incarico i dirigenti comunali responsabili, individuati con nome e cognome (architetti Codolo e Penasa) e il relativo assessore (Alessandro Andreatta). Anzi, il sindaco si era speso in accorate parole in difesa dei tre.

Per questo il cambio di rotta ci era sembrato solo di facciata. E infatti ora vediamo che lo sfregio del territorio e delle regole va avanti, con l’assessore Andreatta che imperturbabile continua a tener bordone alle devastazioni delle immobiliari.

Infatti il mostro di via Asiago non passa inosservato. Il consigliere Nicola Salvati (Costruire Comunità), che già aveva portato in Consiglio Comunale lo scandalo del mancato rispetto dell’Allegato 5 (e chiesto l’allontanamento dei dirigenti Penasa e Codolo, stigmatizzati come "killer della collina" in un intervento che aveva scosso l’ecumenico, peloso consociativismo pro-immobiliari presente anche in alcuni componenti dell’assemblea comunale) aveva posto il problema in una puntuta interrogazione ("La ditta Dalle Nogare sta costruendo un vero e proprio mostro, che contrasta con le norme di tutela del paesaggio contenute nell’Allegato 5 al Prg e alle norme di sicurezza stradale...").

Cosa risponde l’assessore? Ribadisce che "dopo la sentenza del TAR del 29 settembre 2006 ci siamo impegnati all’adeguamento (delle concessioni edilizie, n.d.r.) all’Allegato 5" e anche a verificare le concessioni già rilasciate in barba all’Allegato 5, "e quindi avevamo verificato anche questa concessione" di Dalle Nogare.

In cosa è consistita questa verifica? In un sopralluogo dei tecnici comunali, che in data 21 novembre 2006 appurava che "l’edificio risultava terminato, terminato naturalmente al grezzo, e il tetto era già stato realizzato. E quindi l’edificio doveva considerarsi ultimato". Pertanto, prosegue Andreatta, "l’edificio non può essere considerato una costruzione abusiva". Infatti "l’edificio è stato realizzato nei termini di validità della concessione edilizia" e quindi ora non c’è più niente da fare.

Traduzione: noi Comune a Dalle Nogare avevamo concesso un’edificazione fuori norma, lui l’ha realizzata ("è arrivato al tetto") prima che noi ce ne accorgessimo, e a questo punto ha ragione lui, non si può più chiedere l’abbattimento.

Sembra di essere in un film neorealista, "Il tetto" di Vittorio De Sica, dove si costruiva un’abitazione abusiva lavorando come disperati in una notte, per arrivare al tetto prima dell’alba, perché, a quel punto il Comune non può intervenire.

Insomma, nella logica di Andreatta, a Trento nel 2007 saremmo ancora rimasti agli abusivismi, un po’ romantici, della Roma del dopoguerra.

Naturalmente le cose non stanno in questi termini. Stanno molto ma molto peggio.

Partiamo dalla domanda iniziale: come ha potuto essere approvato il killeraggio della collina con un mostro del genere? Basta un’occhiata alle foto per capire che c’è qualcosa, anzi, molto, che non va.

Dunque, la commissione edilizia esamina il progetto dell’edificio in località Cernidor (firmato "Pisoni Gino") il 18 giugno del 2002. Attenzione all’anno: 2002, quando ancora non c’erano state le sentenze del Tar, non c’era stata la campagna stampa di QT, e l’Allegato 5 dormiva in un cassetto, ben custodito dai dirigenti comunali Codolo e Penasa, che rilasciavano concessioni a raffica come se non esistesse. Però, se il negletto Allegato 5 imponeva di considerare di fatto il Cernidor zona B3a (che implicava un’altezza massima di 10 metri), il PRG comunque classificava l’area in questione come B3 (senza la "a"), che in ogni caso imponeva un’altezza massima di 12 metri.

La commissione esamina il progetto e rifiuta la concessione, perché "l’edificio presenta un’altezza pari a metri 14,50": ossia 4,5 metri più delle norme in vigore (ma nascoste nei cassetti) e comunque 2,5 metri oltre le norme di cui la commissione edilizia era a conoscenza.

La commissione inoltre, trova altri elementi fuori norma: la distanza minima dai confini e la distanza minima tra gli edifici del lotto (in altre parole, il mostro è un ammasso di cemento eccessivo in uno spazio ristretto, come le foto peraltro evidenziano); la presenza di parcheggi solo virtuali "difficilmente utilizzabili, non dotati di sufficiente spazio di manovra, interferiscono con l’uso delle finestrature" (e chi è passato in collina sa quanto grave è il problema dei parcheggi, con le macchine costrette ad intasare ex-stradine di campagna).

La commissione, dopo questi rilievi sul fronte paesaggistico ed urbanistico, conclude con un giudizio più generale molto duro: il progetto "risulta palesemente indirizzato al conseguimento del massimo sfruttamento delle norme urbanistiche vigenti (opportunamente forzate, aggiungiamo noi) a scapito della funzionalità, dell’usufruibilità e della qualità dell’abitare dei futuri utenti". E, girando il coltello nella piaga, afferma: "In una nuova costruzione, non si possono definire ‘stanze’ locali di larghezza tra metri 1,5 e metri 1,1 e con pianta ad ‘elle’."

Bene, si dirà, la commissione edilizia fa il suo lavoro! Non è forte con i deboli e debole con i forti, non si limita a fare le pulci ai piccoli privati, ma anche con i grandi costruttori e le loro speculazioni che rovinano il paesaggio e la città, per di più con casermoni in cui la qualità della vita è discutibile.

Bene un bel niente. La commissione torna a riunirsi un mese dopo, il 29 luglio, e riesamina il progetto. Questa volta della commissione, a differenza che nella precedente, fa parte anche il dirigente comunale arch. Paolo Penasa, il "killer" della collina.

Di tutti i pesanti rilievi di un mese prima non si parla più. Perché? Sappiamo che sotto la dirigenza di Penasa gli uffici comunali avevano intrapreso una curiosa modalità di misura delle altezze degli edifici su terreni in pendenza (da noi già spiegata in Il marcio nel Comune di Trento / 2), che in pratica abbonava due-tre metri. Un vero imbroglio, duramente sanzionato dalla giustizia, due volte dal TAR e una dal Consiglio di Stato; ma che in commissione edilizia passa.

Ed ecco quindi spiegato il mostro, che cresce di due metri grazie all’imboscamento dell’Allegato 5; e di altri due e mezzo grazie al raggiro nel misurare l’altezza.

Ci sarebbero anche tutti gli altri rilievi, che la commissione aveva espresso a giugno (distanze dai confini, distanze tra edifici, pseudo "stanze" a elle, parcheggi...). La commissione a luglio se ne dimentica, non le considera proprio (come peraltro nulla dice nemmeno sulle altezze), approva il progetto con queste sole parole: "...prendendo atto che i parcheggi sono provvisori e che una migliore collocazione planimetrica degli stessi sarà studiata in funzione del progetto limitrofo". Cioè, i parcheggi non ci sono, ma Dalle Nogare ha detto che li realizzerà assieme al corpo a fianco (guardare la foto a fianco per vedere cosa poi è successo).

Bravi.

Così la commissione edilizia ritorna alla normalità: deboli, debolissimi con i forti. I nomi dei commissari: dott. Piergiorgio Pizzedaz, prof. Gianpaolo Borgogno, ing. Danilo Balzan, per. ind. Maurizio Paissan, arch. Michela Favero, arch. Roberto Bortolotti, e naturalmente arch. Paolo Penasa.

Torniamo al discorso dell’assessore Andreatta in Consiglio comunale: "Dopo la sentenza del TAR sull’allegato 5 ci siamo messi a verificare le concessioni. Al Cernidor abbiamo fatto un sopralluogo il 21 novembre e a quella data l’edificio risultava terminato" e quindi avevamo le mani legate. Ma questo ragionamento (assolutamente discutibile, e vi torneremo sopra nella prossima puntata) vale appunto per l’Allegato 5, cioè per i due metri di altezza rubati non considerando le norme nascoste nel cassetto; ma ci sono altri due metri e mezzo rubati, quelli conseguenti alla misurazione birichina dell’altezza. E se nel 2002 possiamo forse, con un enorme sforzo di buona volontà, capire la commissione edilizia che avalla tale metodologia in uso presso il Comune, dal dicembre 2005 questo non è più possibile, perché già da quella data il TAR (investito da un ricorso di un gruppo di cittadini che si erano accorti dell’inghippo) seccamente sentenzia che tali modalità di misurazione delle altezze sono improponibili. E allora, come mai l’assessore Andreatta non si era attivato per verificare le concessioni rilasciate con tali modalità fuori di testa? Sarebbe stato ancora in tempo per fermare il mostro del Cernidor, non ancora arrivato al fatidico tetto.

La foto sopra (del 29 settembre 2006) individua il raggiungimento del tetto da parte del primo mostro.
La foto evidenzia l’aggiunta di un secondo mostro, freneticamente costruito in 50 giorni, giusto prima del sopralluogo dell’assessore Andreatta (21 novembre 2006).

Ma c’è di più.

Vediamo le date: il sopralluogo comunale è stato effettuato il 21 novembre 2006 e la situazione doveva essere quella riportata nella prima foto a fianco in questa pagina (del 29 settembre dello stesso anno, come registrato nel relativo file). In effetti il mostro è arrivato al tetto, su cui peraltro a fine settembre (come si vede in un’altra foto), si stava ancora lavorando. Ma a fianco stava parallelamente sorgendo un altro corpo del mostro, che è pienamente visibile nella seconda foto, di questi giorni. Anche questo edificio, come vedremo è del tutto fuori norma. E Andreatta, come mai non è intervenuto? Sono possibili solo due soluzioni:

1. L’impresa costruttrice ha lavorato a razzo: in cinquanta giorni (dalla data della foto a quella del sopralluogo) a tappe forzate ha costruito tutto l’edificio, arrivando al tetto giusto in tempo per il sopralluogo e permettendo così all’assessore di allargare le braccia: "ormai non c’è più niente da fare" (del che dubitiamo, ma questo è un altro discorso).

2. Andreatta ha fatto il furbo: al momento del sopralluogo il primo edificio era sì arrivato al tetto (e quindi ancora "non c‘era più niente da fare") ma il secondo era appena abbozzato, e l’assessore non lo ha preso in considerazione.

La seconda ipotesi sarebbe gravissima, non vogliamo neanche prenderla in considerazione. Invece, per quanto riguarda la prima ipotesi, ci troveremmo di fronte ad un sincronismo di tempi, tra realizzazione veloce e tardivo controllo, che ha dello stupefacente.

Sullo stravolgimento delle norme attuato in questo secondo edificio, sorto come un fungo a cura della società "Al Ponte srl", c’è d’altronde molto altro da dire. Ci aiuta nell’indagine il lavoro svolto sui documenti comunali da un gruppo di cittadini abitanti in via Falzolgher, che si sono inopinatamente visti sorgere di fronte il mostro. E si sono giustamente chiesti: come è possibile? Non esistono norme, regole da rispettare? Come si può costruire in questa maniera in una zona, la collina di Trento, che risulta tutelata?

Questo attento studio su progetti e documenti, ha evidenziato lo stravolgimento delle norme operato congiuntamente da progettisti disinvolti e da uffici comunali compiacenti. Il caso ricalca quello del gruppo di cittadini di via alla Val che, per difendersi da incombenti mostri progettati ai loro confini, con una serie di ricorsi al TAR avevano scoperchiato il pentolone del marcio in Comune, portando alla luce, tra l’altro, la rimozione dell’Allegato 5 e l’imbroglio delle altezze.

In questo caso i cittadini di via Falzolgher (tra di essi, primo firmatario, il dott. Andrea Pagano, già magistrato a Trento) non si sono rivolti al TAR, essendo scaduti i termini, ma hanno presentato un ricorso alla Provincia, in base alla legge urbanistica del ’91 e alle sue competenze in tema di tutela del paesaggio, richiedendo l’annullamento della licenza edilizia.

Le motivazioni sono di due ordini. Il primo riguarda ancora le altezze. Anche in questo caso progettisti e tecnici comunali hanno fatto i birichini: non hanno considerato l’Allegato 5, e hanno misurato le altezze nella solita maniera truffaldina, già smascherata davanti al TAR: l’edificio quindi, invece di essere alto 10 metri, è alto 14,38.

Ma c’è di più: i cittadini rilevano anche una serie di incredibili disinvolture nel calcolo delle cubature, che sono di tre tipi. Uno: l’area in questione è di 800 metri quadrati: l’indice di edificabilità, di 2,5 metri cubi per metro quadro, dovrebbe dare 2.000 metri cubi; il Comune ne concede invece, chissà come e perché, oltre 3.500. Due: l’effettiva proprietà di quegli 800 mq. è discutibile: infatti gli 800 metri inglobano una parte del rio Valnigra (di proprietà demaniale) e la privata via Falzolgher (dei frontisti); sull’effettiva proprietà di queste aree sono in corso contenziosi giudiziari, ed è bizzarro che esse siano attribuite ad una parte per permetterle metri cubi di edificazione altrimenti non realizzabili. Tre: nel calcolo della cubatura viene computata una "cessione di cubatura" alla società "Al Ponte" da parte dei vecchi proprietari (che si tengono una parte dell’area, spogliata però del diritto ad ulteriormente edificare). Ma la cessione di cubatura è possibile solo se espressamente prevista e regolamentata dalla legge (come ad esempio nella Regione Lombardia), altrimenti si potrebbero avere clamorosi sforamenti degli indici di fabbricabilità, con concentrazioni cementizie: i mostri appunto, come in questo caso. E Trento non ha – ci mancherebbe - norme che prevedano questa cessione. Che pure, in questo caso, viene arbitrariamente concessa.

E nonostante tutto ciò, ancora i conti non tornano. Anche prendendo per buone tutte le gabole messe in campo per aumentare le cubature, queste risultano ancora eccessive.

In questo caso non sappiamo se i cittadini hanno ragione al cento per cento. A differenza del caso di via alla Val le tesi dei cittadini non sono ancora passate al vaglio dell’organo di controllo. Di sicuro le argomentazioni che essi portano sono impressionanti.

Ci fanno vedere come nascono i mostri. Con lo stravolgimento delle regole (e qui, sembrerebbe, anche dei calcoli) per concedere alle immobiliari più altezze e più cubature. Stravolgimento che passa indenne per gli uffici comunali e le commissioni edilizie.

Il punto grave è che, a vigilare su questo andazzo, a contrastarlo, non c’è l’ente pubblico. Non c’è il Comune di Trento, che quando gli sono state dimostrate le colpevoli mancanze dei suoi dirigenti non ha fatto niente, anzi si è stretto loro intorno con dimostrazioni di solidarietà omertosa. E la giustizia penale, che della questione è stata investita, a tutt’oggi non ha ancora trovato il tempo di esprimersi.

A questo punto sono i cittadini a doversi autonomamente organizzare. Come in via alla Val, come in via Falzolgher: e via a studiare documenti, rilevare incredibili mancanze, pagare avvocati, aprire cause. Ma per far questo, oltre a grande coraggio ed encomiabile senso civico, occorrono notevoli mezzi e conoscenze: il comitato di via alla Val era guidato da un docente universitario e direttore di un Istituto di ricerca, quello di via Falzolgher da un ex-giudice. Il comune cittadino, come può pensare di vedere difesi i propri diritti?

Sono queste le considerazioni più amare che ci sentiamo di fare nel vedere continuamente emergere questo marcio nel Comune di Trento.

Approfondiremo il tema nel prossimo numero, anche perché non siamo convinti che, una volta fatti crescere mostri abusivi, non rimanga che allargare le braccia e concludere che "ormai non c’è nulla da fare".